venerdì 30 agosto 2013

IL CORPO E LA MALATTIA

L'inizio del 2010 coincide con la scoperta della malattia.
Quando la dermatologa mi parla per la prima volta di una forma di "miosite", non mi allarmo: non ne so nulla e non appare affatto pericolosa con quel nome così gentile che mi ricorda i miosotis azzurri (comunemente "non ti scordar di me") delle mie amate montagne piemontesi.
Dopo una settimana mi fa la diagnosi di "dermatomiosite" con un lungo elenco di esami cui sottopormi, esami strani, alcuni comunemente noti come "markers", cioè marcatori del cancro. Insospettita, cerco informazioni scoprendo che la dermatomiosite è una malattia rara, una malattia immunologica che può essere paraneoplastica, cioè può manifestarsi in concomitanza col cancro, specialmente nelle persone mature. Ecco la prima botta emotiva.
 
Vengo presa in carico da un gruppo di specialisti: dermatologo, immunologo, oncologo - collegati
tra di loro - che mi  rivoltano come un calzino per cercare quello che nessuno mai vorrebbe trovare.
Fisicamente sto male: le notti sono insonni per il prurito e il bruciore insopportabili in gran parte del corpo, i muscoli sono completamente off, anche quelli della gola, per cui faccio fatica a deglutire e parlare. I medici mi somministrano dosi massicce di cortisone che mi dà sollievo sedando i sintomi. Sono grata ai medicinali che mi permettono di convivere dignitosamente con i sintomi della malattia: posso leggere, stare in contatto con gli altri mediante telefonate e mail, posso pregare. Grazie ai medicinali, le notti insonni, anziché farmi sprofondare nella disperazione e nell’angoscia, diventano  momenti preziosi di libertà interiore e calma serena – un tempo in cui posso stare in contatto virtuale con gli amici e alla presenza amorevole del mio Signore e Dio.
Procedo con gli esami.
Un giorno sto facendo una banale ecografia all’addome. Vedo lo schermo su cui lavora la dottoressa mentre con l’altra mano sposta lo strumento sul mio addome grondante di gel, vedo sullo schermo la macchia rossa su cui la dottoressa insiste, non sono allarmata, non so cosa può significare né di quale organo si tratta.
Ad un tratto, però, entra un altro medico, la dottoressa lo  afferra per il camice mentre questi passa oltre, sembra che lo interpelli con lo sguardo, il medico si ferma,  guarda lo schermo, non fa commenti e va via. 
Ecco il cancro – ho capito – è lì. 
Mentre mi rivesto, la dottoressa viene a parlarmi: ci sono delle ombre e lei deve segnalarne la presenza, ma di sicuro si tratta di aderenze innocue. La ringrazio senza crederle e mi fa tenerezza per la cura con cui amorevolmente mi mente.
Faccio una Tac presso l’ospedale San Luigi di Orbassano Torino dove sono seguita dall’immunologo.
Questo medico si è fatto carico del mio caso, ha contattato gli altri specialisti e velocizzato gli esami, diventando per me un punto di riferimento. Comincia ad esaminare le lastre e poi ancora ed ancora – mio marito AL ed io, seduti, silenziosi – e  lui continua a guardare le lastre per un tempo lunghissimo. Anche l’immunologo, come la dottoressa dell’ecografia, mi fa  tenerezza: non sta guardando le lastre, sta cercando le parole, si sta chiedendo se noi vogliamo sapere la verità, se siamo pronti.
Infine dice: “Abbiamo un problema.”
Come siamo strani, noi umani! In quel momento mi viene in mente il film Apollo 13 con la celebre frase: “Houston, abbiamo un problema!”.
Non ricordo nulla di quanto segue se non che contatta un famoso chirurgo e l’oncologo che già conosco fissando con loro i passaggi successivi.
Infine ci saluta, spiegandoci che ora si occuperanno di me il chirurgo e l’oncologo e che noi ci rivedremo – dopo – per impostare una terapia per la malattia immunologica.
Augurandomi ogni bene, mi abbraccia. Commossa  dall’inaspettato gesto di empatia, mi rifugio nel suo abbraccio e  scoppio in lacrime.
Con AL usciamo dal reparto piangendo entrambi e andiamo in cappella. Restiamo a lungo, in penombra e silenzio, abbracciati. Offriamo al Signore le lacrime e il tumulto dei nostri cuori.
Ho il cancro al pancreas e alcuni organi vicini sono già stati intaccati.
Le informazioni che riesco poi a raccogliere, da fonti diverse,  purtroppo sono concordi nel definire la prognosi generalmente grave.
Nell’80% dei casi di cancro al pancreas, al momento della diagnosi, lo stadio della neoplasia è già così avanzato che sono possibili solo provvedimenti palliativi.
L’intervento chirurgico, quando possibile, risulta molto impegnativo ed è associato ad una mortalità  che può arrivare fino al 10%.
Anche negli stadi iniziali il tumore è molto aggressivo.
Qualche anno fa la sopravvivenza media, al momento della diagnosi, era di 3-6 mesi; la sopravvivenza di 5 anni era inferiore al 5%. Negli Stati Uniti la mortalità si avvicinava al 99% mettendo il cancro al pancreas al primo posto come tasso di mortalità tra tutte le forme di cancro.
Attualmente le cure chemioterapiche stanno allungando i tempi di sopravvivenza.
 
Intanto sono trascorsi due mesi. Il corpo mi sta abbandonando, sono molto dimagrita, a volte svengo, non sono quasi più in grado di stare in piedi, forti spasmi al torace aumentano il mio panico.
L’ultimo specialista che incontro è il chirurgo: dice che sono operabile e predispone l’iter per l’intervento presso l’ospedale Molinette di Torino.
 
 
Per ora mi fermo a questi eventi che risalgono ai primi mesi del 2010. Presto continuerò a scrivere sul blog, raccontandoti la mia storia. Se vuoi leggerla tutta e subito, puoi andare al mio sito:
www. signoretioffroilmiocancro.it
 
Ti abbraccio con affetto. Rosella
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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