giovedì 31 ottobre 2013

Per credenti e non credenti - Preghiere e meditazioni

 TU SEI

Tu sei – prima, oltre, al di sopra
Delle leggi che regolano l’universo
Tu – in un punto misterioso dello spazio e del tempo
Hai compiuto un gesto di creazione
Tu sei più potente delle leggi che regolano l’universo

Tu sei il Dio di tutte le genti e di tutti i secoli
Il Dio degli uomini primitivi affascinati dal sole
Delle varie civiltà con i loro dei
Il Dio di tutte le religioni, di tutti i templi, di tutti i continenti
Della Bibbia e poi dei primi cristiani
Il Dio degli atei e degli agnostici
Con la loro incancellabile nostalgia di infinito

Tu sei il Dio del cosmo e della natura
Intelligenza creatrice, idea universale
Spirito della luce, potenza operosa di forze e leggi immutabili
Sei presente nella immensità dello spazio
Nella infinita piccolezza della materia
Nella bellezza delle cose che mi circondano

Tu sei il Dio dei buoni sentimenti
Il Dio del barlume di bene presente nel peggior delinquente
Il Dio dell’amore materno
Dell’istinto di sopravvivenza
Del desiderio di rinnovamento
Il Dio presente nella parte più profonda di me stessa
Il Dio che è la parte migliore di me stessa

Tu sei amore della vita, amore di me stessa, amore tra i fratelli

 

… E MI GUARDI RADIOSO

Mio Dio, tu sei il testimonio della mia coscienza 

Mio creatore, entra nel mio cuore, entra nella mia vita
Se io ti cerco, so che tu sei con me
Se io rientro in me stessa
Posso stare in cosciente compagnia con il mio creatore

Tu sei colui che dimora nel mio cuore
E  vi rimane a vegliare giorno e notte

Tu sei colui che rimane a vegliare nel mio cuore
Quando io sono nel sonno
Fuori nel mondo nessuno vede la tua luce
Che risplende nella notte

Tu sei colui che mi riporta alla luce al mattino
Quando apro gli occhi posso vedere che tu sei là
Che mi guardi radioso

Tu sei colui che cammina dentro l’anima
E sorridente guarda il mio cuore

(Preghiera liberamente tratta dagli scritti di Robindranath Tagore)

 

L’INFINITO AMORE
 
Signore, tu sei l’infinito amore
Sorgente di ogni vita, di ogni bellezza, di ogni bontà
Da te vengono ed a te tornano tutte le cose
Posa la tua mano sul mio capo, o Dio
Perché il caos ed il male che è in me non mi travolga

Signore, tu sei l’infinito amore
Dammi pace con te, o Dio
Pace con gli uomini
Pace con me stessa
E liberami dalla paura

Signore, tu sei l’infinito amore
O Signore, tu che sei al di sopra di me
Tu che sei anche in me
Tu che io non conosco ma a cui appartengo
Tu che io non comprendo ma che costruisci il mio destino
Fa’ ch’io segua fino in fondo
La via delle tue segnalazioni interiori
In amore e pazienza, in fedeltà e coraggio
In rettitudine ed umiltà, in quiete

Signore, tu sei l’infinito amore
Fa’ ch’io non disperi mai
Perché sono sotto la tua mano
Ed in te è ogni forza e speranza
Nelle tue mani, o Signore
Ogni ora ha senso e grazia
Ed elevatezza e pace e consistenza
 
Signore, tu sei l’infinito amore
Dammi sensi puri per vederti
Sensi umili per udirti
Sensi d’amore per servirti
Sensi di fede perché io dimori sempre in te
O Signore, tu che sei al disopra di me
Tu sei anche in me
Fa’ che ognuno ti veda anche in me

(Preghiera liberamente tratta dagli scritti di Dag Hammarskjöld)

 

PROPRIO TE

“Figlia mia
Non sei nata per caso
Ti pensavo, ti volevo – proprio te
Ti pensavo, ti volevo – proprio come sei
Ti ho tirata fuori dal nulla
Ti ho dato la consapevolezza di te stessa
Tu hai un senso, un’importanza
Tu hai valore per me
Conduco la tua vita, la reggo nelle mie mani”

Sì, Signore mio Dio
Tu mi hai scelta da tutta l’eternità
Mi hai vista come un essere unico, speciale, prezioso
Solo io posso essere me stessa
Solo io posso vivere la mia vita

Sì, Signore mio Dio
Tu mi proteggi
Mi benedici
Mi chiami la tua figlia diletta
Mi dici che vado bene come sono
 
Sì, Signore mio Dio
Anche l’altro è stato scelto
Anche l’altro ha un posto nel tuo cuore
Ogni persona ha bisogno di sicurezza
E benedire è la più significativa delle sicurezze

 

LA BENEDIZIONE

Nella comunità dell’Arca dove aveva deciso di vivere, dopo una vita passata nel mondo universitario, un giorno, il celebre padre Henri Nouwen fu avvicinato da una handicappata della comunità che gli chiese: “Henri, mi puoi benedire?”.
Padre Nouwen rispose alla richiesta in maniera automatica, tracciando con il pollice il segno della croce sulla fronte della ragazza. Invece di essere grata, lei protestò con veemenza: “No, questa non funziona. Voglio una vera benedizione!”.
Padre Nouwen si accorse di aver risposto in modo abitudinario e formalistico e disse: “Oh, scusami … ti darò una vera benedizione quando saremo tutti insieme per la funzione”.
Dopo la funzione, quando circa una trentina di persone erano sedute in cerchio sul pavimento, padre Nouwen disse: “Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale. Lei sente di averne bisogno”.
La ragazza si alzò e andò verso il sacerdote, che indossava un lungo abito bianco con ampie maniche che coprivano sia le mani che le braccia.
Spontaneamente Janet lo abbracciò e pose la testa contro il suo petto.
Senza pensarci, padre Nouwen la avvolse con le sue maniche al punto di farla quasi sparire tra le pieghe del suo abito.
Mentre si tenevano stretti l’un l’altra, padre Nouwen disse: “Janet, voglio che tu sappia che sei l’Amata Figlia di Dio. Sei preziosa agli occhi di Dio. Il tuo bel sorriso, la tua gentilezza verso gli altri della comunità e tutte le cose buone che fai, ci mostrano che bella creatura tu sei. So che in questi giorni ti senti un po’ giù e che c’è della tristezza nel tuo cuore, ma voglio ricordarti chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amata da Dio e da tutte le persone che sono qui con te”.
Janet alzò la testa e lo guardò; il suo largo sorriso dimostrò che aveva veramente sentito e ricevuto la benedizione.
Quando Janet tornò al suo posto tutti gli altri handicappati vollero ricevere la benedizione.
Anche uno degli assistenti, un giovane di ventiquattro anni, alzò la mano e disse: “E io?”.
“Certo”, rispose padre Nouwen. “Vieni”.
L’abbracciò e disse: “John, è così bello che tu sia qui. Tu sei l’Amato Figlio di Dio. La tua presenza è una gioia per tutti noi.
Quando le cose sono difficili e la vita è pesante, ricordati sempre che tu sei Amato di un amore infinito”.
Il giovane lo guardò con le lacrime agli occhi e disse: “Grazie, grazie molte”.

Quando le cose sono difficili e la vita è pesante, ricordati chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amato da Dio e da tutte le persone che sono con te.

(H. J. Nouwen  raccontato da Editrice Elledici in "Ti regalo una storia – La benedizione")
 

IL SIGNORE TI BENEDICA

Il Signore sia davanti a te
per farti da guida
e mostrarti la retta via

Il Signore sia accanto a te
per stringerti tra le braccia
e proteggerti

Il Signore sia sotto di te
per afferrarti quando cadi
e tirarti fuori dalle trappole

Il Signore sia in te
per confortarti
quando sei triste
 
Il Signore sia intorno a te
per difenderti
quando il male ti si scaglia contro

Il Signore sia sopra di te
per salvarti
e per custodirti

E così ti benedica
Dio misericordioso

Amen

(Da un'agendina della Editrice Elledici) 

 

PREGHIERA PER I FAMILIARI 

Signore, ti prego per il mio familiare
Per la sua salute, il suo lavoro, la sua vita affettiva
Proteggilo dal male – dentro e fuori di sé
Allontana da lui la sofferenza
E quando sarà necessario che lui soffra
Concedigli conforto e grazia
Signore, io so che tu lo ami, abbi cura di lui
Amen


 
MEDITARE È APRIRE LA MENTE ALLA PACE 

Fissare la propria dimora al centro.
La prima cosa da fare, se si vuole compiere un cammino di crescita spirituale, è prendere possesso di sé, conoscere e riconoscere se stessi, portarsi al centro, dove ognuno di noi ha una casa interiore.
Lì, in quel centro spirituale, in quella casa interiore, troviamo la consapevolezza di noi stessi e di ciò che siamo, possiamo dialogare con noi stessi e ritrovare ciò in cui crediamo e che amiamo.
Ciascuno di noi si ritaglia dentro uno spazio, dove può incontrare se stesso, quando vuole e quando può. Questo centro spirituale è un mondo esclusivamente nostro, unico – un mondo che ci siamo costruiti lungo tutto il corso della vita e col materiale del nostro vissuto: ciò che ci ha fatto gioire e soffrire, ciò che abbiamo ricevuto o ci è stato negato, le presenze e le assenze, le parole che ci sono state dette e quelle che abbiamo atteso invano, tutto ciò che ci ha toccato e come ci ha toccato. Questo è uno spazio tranquillo, al riparo da tutto ciò che ci turba.
Qui ognuno può stare faccia a faccia con se stesso, senza maschere e senza paure di giudizio – ognuno può parlarsi e ascoltarsi, camminare avanti e indietro per i sentieri dell’anima.
Le decisioni importanti, le scelte coraggiose che cambiano la vita, avvengono nel silenzio e nella tranquillità di questo spazio spirituale.
Riposare nel proprio centro spirituale è come tornare a casa dopo le bufere della vita. Si ha la sensazione di avere la possibilità di unificare ed armonizzare la propria esistenza e di possedere il segreto di una pace profonda.

(Giuseppe Colombero – “Cammino di guarigione interiore”) 

 

PAROLE SEMPLICI PER MEDITARE
 
Credi in Dio
Pulisci la tua casa interiore
Ama gli altri

"Non temere – sono io
Non temere – è figlio mio
Non temere – sono con te”

Resa e Accettazione
Affidamento
Pace e Amore

Riconosco Dio come il Signore della mia vita
Mi affido, mi metto nelle sue mani, mi consegno a lui
Accetto la sua volontà nella pace

Signore aiutami
Mi riconosco come una tua creatura
E gli altri come miei fratelli

La consapevolezza
Dell’amore di Dio
Presente in me

 

LA PREGHIERA DELLA MIA CONVERSIONE 

Quando avevo circa quarant’anni, trascorsi un periodo di grande cambiamento che coinvolse tutti i campi della mia vita: ero affascinata dalle possibilità che intravedevo per il mio futuro ma ne ero anche  destabilizzata psicologicamente.
Fino a quel punto ero andata avanti, con il lavoro e la famiglia e le normali cose della vita, ma non ero cresciuta “dentro”: la mia emotività e la mia spiritualità erano rimaste quelle di una ragazzina.
Sperimentai episodi di intenso dolore emotivo e fu in quei momenti che mi arresi a Dio, mi inginocchiai ed ammisi di avere un disperato bisogno del suo aiuto. Furono i momenti più importanti della mia vita, una esperienza spirituale che mi trasformò.
La preghiera che segue è stata scritta in quei momenti. Ho continuato a pregarla nel tempo ed ormai è impressa in me in modo indelebile.


Signore, posa la tua mano sul mio capo
Perché il caos ed il male che è in me non mi travolga
Fa’ che io non disperi mai
Perché sono sotto la tua mano ed in te è ogni forza e speranza

Signore, tu sei già presente in me
Io ho solo da scendere nel mio cuore a raggiungerti
Se io ti cerco so che tu sei con me
Se io rientro in me stessa
Posso stare in cosciente compagnia con il mio creatore

Signore, ho una casa consacrata dentro di me
Una chiesa interiore
Dove posso ritirarmi in segreto
Ritrovare pace e serenità
Restare nella consolazione e nella benedizione

Signore, tu sei un abbraccio
Che circonda e accompagna il mio corpo,  luce, calore, energia 
Tu sei una presenza reale nel mio corpo
Il mio corpo è la tua casa, il tempio del tuo spirito

Signore, tu eri con me sempre
Resta con me, non mi lasciare, non mi abbandonare
Non permettere che io mi perda

Signore, tu mi conosci
Mi perdoni
Mi ami incondizionatamente
Non sei mai stanco o deluso di me

Signore, avvolgimi come un mantello
Nascondimi come un chador
Accoglimi come la grotta fresca del deserto
Portami come un piccolo nel marsupio della mamma,
come un cagnolino nella borsa di paglia della padroncina, 
Prendimi per mano, rassicurami, consolami
Nella solitudine e nella sofferenza portami in braccio

Signore, posso rilassarmi perché tu decidi gli eventi
della mia vita per me
Ti prendi cura, con rispetto, delle mie necessità
anche se non ne sono consapevole
Tuo è il compito di portare avanti la vita

Signore, tu sei l’infinito amore, gioia, bellezza, vita
Placa la mia nostalgia di te
Dammi l’amore, la gioia, la bellezza, la vita di cui ho bisogno

Signore, tu sei la calma, la pace, la serenità
Insegnami la gratitudine, la fiducia, la gioia
Signore in te riposa l’anima mia  

 

I SALMI DELLA PROTEZIONE
 
Signore, come scudo mi copre la tua benevolenza. Sal 5,13

Signore, proteggimi all’ombra delle tue ali. Sal 17,8

Mia roccia e fortezza, mia rupe in cui mi riparo
Signore, mio scudo e baluardo. Sal 18,3

Proteggimi, Signore, che al tuo riparo io non sia deluso. Sal 25,20

Signore, mi offri un luogo di rifugio
mi nascondi nel segreto della tua dimora. Sal 27,5

Signore, sii per me la rupe che mi accoglie
la cinta di riparo che mi salva. Sal 31,3

Tu mi nascondi al riparo del tuo volto
Signore, mi  metti al sicuro nella tua tenda. Sal 31,21

Signore, si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali. Sal 36,8

Dimorerò nella tua tenda per sempre. Sal 61,5

Signore, la forza della tua destra mi sostiene. Sal 63,9

Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno
dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno
Signore, eri tu il mio rifugio sicuro. Sal 71,6-7

Il Signore ti coprirà con le sue penne … troverai rifugio;
la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza. Sal 91,4-5

Il Signore dirà ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi,
sulle loro mani ti porteranno. Sal 91,11-12

Il Signore è il tuo custode,
è come ombra che ti copre e sta alla tua destra,
di giorno non ti colpirà il sole né la luna di notte,
il Signore ti proteggerà da ogni male,
proteggerà la tua vita,
veglierà su di te quando esci e quando entri,
da ora e per sempre. Sal 121.5-8

Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato
in braccio a sua madre. Sal 131,2

Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. Sal 139,5
 
 
 
LA FEDE DI UN'AGNOSTICA 
 
La mia amica Kathleen è una deliziosa anziana signora inglese, minuta, con dei bei capelli argentei. Vive col marito in campagna, circondata da animali.
Kathlen, da sempre agnostica, in gruppo con noi amiche, parlava di preghiera e di meditazione.
Ma come fa un’agnostica a pregare e meditare?
La sua spiegazione mi commosse e rimase impressa nel mio cuore.
Ecco il suo racconto.

“Trovammo dei gattini sul bordo della strada, dovevano avere pochi giorni ed erano visibilmente abbandonati a se stessi (chissà cosa era successo alla madre!): arruffati, sporchi, denutriti, macilenti – sarebbero andati incontro a morte sicura.
Con mio marito “fummo costretti” a raccoglierli e portarli subito dal veterinario che se ne prese cura: li visitò accuratamente e li vaccinò.
I mici erano disperati e non avevano più voce per il loro terrore: attrezzi e luci ed aghi negli occhi, negli orecchi e in ogni parte del loro corpo – dopo l’abbandono materno questa doveva essere una esperienza terribile.
Avrei voluto lasciarli tranquilli, sul caldo morbido delle mie ginocchia, accarezzandoli lievemente – ma “dovevo” permettere quella sofferenza, per la loro stessa sopravvivenza. Ci sarebbe stato tempo, dopo, tanto tempo, per dare loro sicurezza e tranquillità.
Questi umani che stavano tormentando i gattini, in realtà li stavano salvando e preparavano per loro un futuro felice. Ma non c’era alcun modo di spiegarlo a quegli esserini disperati, non c’era alcun modo.
Fu allora che pensai che, forse, anche per Dio è così: si sta prendendo cura di noi umani mentre noi non ci capiamo niente e ci arrabattiamo nella vita. Dio forse ci sta preparando un futuro di sicurezza ed amore ma non ha alcun modo di farcelo sapere. Noi dobbiamo solo fidarci, dobbiamo smettere di dibatterci nella sofferenza, lasciarci curare, lasciare che Qualcuno più potente e più amorevole di noi ci porti alla felicità. Fidarci dell’amore”.
 


UNA REGOLA DI VITA: LA PERSEVERANZA 

Dentro ogni essere umano c’è una spinta prepotente, irrefrenabile che porta ciascuno a realizzare e a mantenere ciò che ha in testa. Si tratta di una coerenza, a volte inconsapevole, che fa confluire le nostre energie lì, in quel punto, provocando piacere e soddisfazione se ci stiamo avvicinando all’obiettivo.
Ognuno di noi ha potuto sperimentare questo, almeno qualche volta nella sua vita. Ci siamo concentrati su una cosa, l’abbiamo pensata tanto, l’abbiamo vista quando non c’era e magicamente l’abbiamo concretizzata. E se abbiamo continuato a coltivarla si è persino mantenuta nel tempo. Non è magia: si tratta di un’energia naturale, di una coerenza che hanno tutti gli esseri umani.
Il problema allora non sta nel come imparare la fedeltà, sta nel fare molta attenzione a chi e a che cosa noi dedichiamo le nostre attenzioni.
Noi possiamo avere un ideale, magari un grande ideale, ma se durante le giornate gran parte del nostro pensiero è indirizzato ad altro, le nostre energie tenderanno a quell’altro. Un ideale non è un distintivo, non è qualcosa che sappiamo e mettiamo lì, non è qualcosa che possiamo prendere dagli altri. Un ideale è come un chiodo fisso, un pensiero coltivato nel tempo, più attraente di qualsiasi altra idea.
Restiamo attaccati a ciò a cui dedichiamo più pensiero, più attenzione, più tempo. La coerenza e la fedeltà entrano in gioco, inesorabili. Diventa davvero parte di noi, crescendo e radicandosi, soltanto ciò che scegliamo e pratichiamo giorno dopo giorno. Noi esseri umani diventiamo ciò che ripetiamo più spesso, ciò che custodiamo e coltiviamo nel nostro cuore.
Dedichiamoci quindi a ciò per cui valga la pena di vivere, anche se ci appare lontano, anche se le circostanze non sono favorevoli, anche se non potrà piacere a tutti. L’ideale sarà nostro, se solo avremo la costanza di indirizzare ad esso pensieri ed attenzioni ed energie, giorno dopo giorno.
 
(Dagli articoli di Pier Luigi Ricci sui giornali della Fraternità di Romena nr 1/2007 e nr 3/2011)

 
 

CONCLUSIONE - VIVI E GIOISCI


UN BONUS DI VITA

 
È il 20011, il mio secondo anno da malata oncologica; siamo all’inizio di maggio, ho finito la terza fase di chemioterapia e mi sottopongo alla solita serie completa di esami.
I referti sono buoni: il cancro non si è riattivato e le metastasi sono ferme, insomma, la situazione è immutata. 
Gli oncologi, abituati a parlar chiaro con me, sono stupiti, mi chiedono cosa sto facendo “di mio” per avere simili risultati, si consultano con colleghi di altre strutture per decidere sul mio caso che pare essere inconsueto.
Infine decidono per un periodo di “wait and see”. A me non piace il termine “aspetta e vedi” e preferisco definirlo un programma di “vivi e gioisci”.
Incomincio così un periodo di libertà completa dalla chemioterapia. Ho ancora alcuni disturbi, strascichi dei medicinali che il mio fisico fatica a smaltire, ma sto sempre meglio.
Vivo questa nuova esperienza come “un bonus di vita” che mi viene elargito gratuitamente ed inaspettatamente.
Vivo e gioisco.

 
È l’inizio di giugno. Nella notte ho avuto male a mani e piedi e verso le cinque decido di alzarmi sperando di star meglio dopo aver riattivato la circolazione.
Sta schiarendo e già si sentono gli uccellini. Mi copro bene, esco sul balcone e mi viene donato il più bel concerto della mia vita.
Dapprima un canto e una pausa e poi un canto in risposta, ed ecco un cinguettio diverso e poi un altro ed un altro ancora, gorgheggi prolungati e melodie e rimandi. C’è una base musicale di sottofondo, un’armonia diffusa, tutti i giardini della città e le colline all’intorno e lo spazio ed il tempo sono coinvolti nel concerto. Sono emozionata da tanta bellezza.
Vivo e gioisco.

 
Un mattino d’estate, nella mia parrocchia, riprovo a cantare.
Prima di ammalarmi, mi piaceva cantare. Lo facevo in chiesa con gli altri fedeli ma anche in coro con un gruppetto di signore aiutate da un’insegnante – niente di serioso, solo per divertirci.
Dopo l’intervento chirurgico però i miei muscoli addominali erano gonfi e doloranti, non sentivo il diaframma né la gabbia toracica e non respiravo bene.
Oggi decido di provare, sono un po’ in disparte, la messa è feriale e l’eventuale danno non sarà grave.
Provo, dapprima piano piano, poi mi rendo conto che respiro bene e la voce sale … sì … funziona! Il mio fiato prende forza, mentre ricordo i suggerimenti dell’insegnante, acquisto sicurezza ed ecco che tutto il mio corpo canta una lode di gioia e di ringraziamento al Signore.
Vivo e gioisco.

 
Sono in bagno per l’igiene personale e mi sono portata il vecchio stereo col cd preferito.
La pulizia è un’operazione complicata perché il mio catetere venoso centrale è di tipo esterno, non deve essere bagnato e ultimamente la pelle si è irritata per il contatto costante con le garze adesive.
Anche i capelli sono da accudire con cura: da quando ho cambiato il medicinale chemioterapico, sono ricresciuti sani e folti, arricciati come quand’ero bambina, solo di un bel grigio cenere. AL dice che sono bella ed ho deciso di lasciarli allungare.
Operazioni lunghe e laboriose ma la musica mi tiene allegra.
AL bussa alla porta, mi sento colta in fallo … forse il volume troppo alto, forse la mia foga eccessiva nel partecipare al canto.
Ma lui semplicemente mi sbircia dalla porta socchiusa, sorride ed il suo volto è pura felicità:
“Vuoi che ti aiuti ad asciugare i capelli?”
“Certo che sì!”
Tenerezza, complicità, commozione.
Vivo e gioisco.


SIGNORE, COSA VUOI CHE IO FACCIA?

 
Signore mio Dio
Prendi tutto di questo periodo
Io ti offro ogni cosa
E ti ringrazio per questa vita meravigliosa
Per la gioia e l’amore
Per i familiari e gli amici
Per chi mi ha curato
E per gli ammalati che ho incontrato

Signore mio Dio
La mia malattia è nelle tue mani
La mia vita e la mia morte sono nelle tue mani
Mantengo la consapevolezza della serietà del mio male
Ed insieme sperimento la pienezza di ogni soffio di vita
Aiutami, Signore, a fidarmi di te
Aiutami a restare nella tua pace

Signore mio Dio,
Mi sono preparata con serenità a morire
E tu mi hai tenuta per mano in questo cammino
Ora mi fai vivere ancora
Ed io risento la forza gioiosa della vita che pulsa
Come i germogli di primavera impazienti di sbocciare
Come la natura con i suoi ritmi
E le creature tutte della terra

Signore mio Dio
Mi stai donando un bonus di vita
Ed io ne sono felice, sì, ne sono felice
È naturale, Signore, perché tu, proprio tu
Hai intrecciato la trama del mio essere
Con l’istinto primario alla sopravvivenza
Con la voglia e l’entusiasmo e la passione di vivere

Signore mio Dio
Cosa vuoi che io faccia?
Come vuoi che usi questo tempo?
Spirito di Dio, aiutami a capire
Come posso esserti utile
Come posso usare l’esperienza della malattia
Per aiutare le persone che sono sul mio percorso

Signore mio Dio
Grazie per i talenti che mi hai donato
Sento che posso farne tante cose buone
Pur con i limiti che la malattia mi pone
Spirito di Dio, aiutami a capire
Quale è il tuo progetto su questa fase della mia vita
Ed a restare umile strumento nelle tue mani

Signore mio Dio
Io ti offro il mio cancro
E tu che sei l’Amore
Trasformalo in Amore

  
 

mercoledì 30 ottobre 2013

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I LIBRI DI QUESTO PERIODO


Nel periodo della chemioterapia, leggo molto.

Con AL riprendiamo i libri di Terzani scritti dopo essersi ammalato di cancro.
Terzani non si identifica in una religione specifica eppure ha un atteggiamento spirituale nei confronti della malattia grave e vive tale esperienza come una occasione di rielaborazione dei propri valori, una opportunità di unificazione degli aspetti della sua esistenza.
In lui la componente trascendente si espande supplendo ai sempre maggiori limiti del corpo fisico e Tiziano riceve la grazia speciale di vivere in serenità e pienezza ogni soffio di vita.

"Luci nel tramonto" di Donato Cauzzo mi aiuta ad accettare la paura perché la fede non esclude la paura della morte e Gesù stesso ne ha sperimentato l'angoscia.

Un libro ci appassiona e ci commuove: "Grazia e grinta" di Ken Wilber. E' diario di una coppia, Ken e Treya, che, la settimana precedente il matrimonio, scopre la presenza del cancro nel corpo di lei.
Ciascuno dei due racconta il proprio vissuto: l'amore che li unisce sul piano fisico, emotivo, spirituale - il modo di vivere le alterne fasi della malattia - la continua ricerca di trascendente con la crescita spirituale, soprattutto di Treya che alla fine muore "felice".

"Vivere il morire" di Sergio Messina è una raccolta di pensieri, uno al giorno, flashes sul morire ritagliati da libri e pubblicazioni varie e scritti da autori diversi. Sergio Messina è stato a lungo cappellano ospedaliero a Torino, si è prodigato per il "movimento degli hospice" e tiene corsi sul tema "Vivere il morire" in tutta Italia.

Con "L'ultimo viaggio" di Nicoletta Ghilotti mi appassiono allo spirito del "movimento hospice" basato sull'applicazione della medicina palliativa.  



A te che leggi questo blog:
Ho intenzione di riportare i brani più significativi di questi autori - così come quelli di tutti gli altri citati finora -
Ma, se ti interessa leggerli subito, puoi farlo sul sito
www.signoretioffroilmiocancro.it
Un caro saluto da Rosella. A presto.

TERZA CHEMIOTERAPIA

 
 
FESTIVITÀ NATALIZIE

 
È la vigilia di Natale, ho finito il ciclo di chemio e devo solo fare il prelievo con visita di controllo.
L’oncologa mi dice che i valori sono troppo bassi e aggiunge scherzando:
“Adesso la sistemo io per le feste”.
Sto quasi cinque ore sotto flebo, non si tratta di chemioterapia ma di medicinali atti a riequilibrare il mio schema ematico.

Torniamo a casa e mi sembra di stare meglio.
Sì, sto meglio. Che meraviglia! Sto bene.
A Natale, quando arriva PL, ci abbracciamo tutti e tre, ridendo e piangendo.
Ce l’ho fatta ad arrivare a Natale. 


Proprio nel periodo delle festività di fine anno, devo fare la Pet, a Candiolo, come le altre volte. AL ormai conosce la strada, io abbasso il sedile, chiudo gli occhi e prego affidando a Dio l’esame che sto per fare. Intorno, scorrono campagna e  boschi, poi, in mezzo al nulla, appare la grande struttura. Questo centro mi è diventato familiare, mi sento a casa specialmente nel reparto di medicina nucleare ed a volte scherzo con il personale.
Sono grata a Candiolo, a tutti i centri dove si svolge la ricerca,  alle persone che vi lavorano. Che Dio li benedica! Benedica il loro studio e il loro lavoro ed i medicinali che preparano per gli ammalati.

Quando ritiriamo il referto, non apriamo subito la busta ma andiamo in cappella.
È il nostro rito, ci siamo abituati a fare così fin dalle prime volte.
Dopo visite importanti o dopo aver ritirato i referti, in cappella alla presenza del Signore, abbiamo potuto piangere e rincuorarci l’un l’altra, abbiamo trovato quiete e la forza necessaria anche solo per risalire in macchina e tornare alla nostra città.

Anche oggi siamo qui con la nostra busta ancora chiusa. Sul primo banco ci sono dei libri a disposizione. Sono attratta da un foglietto con disegni di candele e decori natalizi.

Quattro candele si consumano lentamente
Diffondendo luce e calore.
Regna intorno un silenzio così profondo
Che si può ascoltare il crepitio della loro conversazione.

La prima dice: “Io sono la PACE
Ma gli uomini non si curano di me
Penso proprio che non resti altro da fare che spegnermi”
Così poco a poco la candela si lascia spegnere.
Anche la seconda dice: “Io sono la FEDE
Ma gli uomini dicono che non servo a nulla
Per questo motivo non ha  senso che io resti  accesa”
Appena termina di parlare diventa fioca e si spegne.
Triste la terza candela a sua volta dice: “Io sono l’AMORE
Ma gli uomini non fanno che odiarsi
Non ho la forza per continuare a rimanere accesa”
E senza attendere oltre la candela si lascia spegnere.

Un ragazzo entra nella stanza e vede le tre candele spente
Impaurito per la semioscurità dice: “Ma che cosa fate?!
Voi dovete rimanere accese. Io ho paura del buio!”

La quarta candela rassicura il ragazzo: “Io sono la SPERANZA
Non temere, non avere paura
Finché io sarò accesa potrai sempre riaccendere le altre candele”
Rincuorato, il ragazzo prende la candela della SPERANZA
E riaccende la pace – la fede – l’amore.


 Nel referto leggiamo:
“ … scomparsa dell’anomala focalità … gli anomali accumuli non risultano più apprezzabili … il quadro odierno Pet depone per un’ottima risposta metabolica al trattamento effettuato.”
Viene descritta:
“ … una piccola focalità e la persistenza di una iperfissazione.”
Dovremo consultare gli oncologi ma non abbiamo dubbi che si tratta di un ottimo risultato e che la situazione è decisamente migliorata.

Stupore sollievo lacrime abbracci felicità!

Grazie a te, Signore Risorto
Tu, qui presente celato nel tabernacolo
Tu, qui presente celato nella nostra gioia
Sorridi su di noi e ci benedici

Torniamo a casa – gli altri automobilisti non se ne avvedono – ma la nostra macchinetta levita a mezzo metro dall’asfalto e sul tettuccio ha due ali di filigrana d’argento con i colori dell’arcobaleno luccicanti al sole.

Il mio cuore canta:

Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi,
mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba.
Hai mutato il mio lamento in danza,
la mia veste di sacco in abito di gioia,
perché io possa cantare senza posa.
Sal 30,4.12-13

L’euforia iniziale, col trascorrere dei giorni, si trasforma in uno stato d’animo più sobrio.
Ripenso alla storia delle quattro candele e mi chiedo in cosa consiste “la speranza” per me, in questo percorso di malattia. Provo a rifletterci.  
 

LA SPERANZA

 
LA SPERANZA
Non significa
Che io non morirò

LA SPERANZA
Significa che il Signore Risorto
Mi darà ancora
Tanti motivi di gioia
Mi darà ancora
Consapevolezza e crescita e grazia
Mi darà
Il suo aiuto e la sua pace
Sempre
 
LA SPERANZA
Significa che il Signore Risorto
È con me sempre
Vivrà con me
Ogni aspetto della mia malattia
Vivrà con me la mia agonia
E infine
Mi accoglierà nel suo amore
Per sempre
  

ANNO NUOVO – CHEMIO VECCHIA


Gli oncologi sono stupiti dall’ottimo risultato ottenuto, comunque entusiasti e, ahimé, concordi sulla necessità di continuare la terapia con lo stesso medicinale.
Mi posizionano il catetere venoso centrale (cvc) per prelievi e infusioni direttamente in vena succlavia senza compromettere nuovamente le braccia che stanno guarendo dalla flebite.

Inizio la terza fase di chemio.

Sono trascorsi circa dieci mesi dall’intervento ed il mio fisico si sta rinforzando.
Mi alimento a sufficienza e riesco a mangiare quasi tutto ad eccezione di frutta e verdura. Mi mancano tanto le insalatone di “prima”, allegre di colori e profumi e sapori – ma sento che il mio apparato digerente non è ancora pronto a “ruminarle”. Con la frutta, però, ci voglio provare: un giorno uno assaggino di mela, poi un acino d’uva, uno spicchio di clementina … wow … che nettare il sapore del primo spicchio di clementina! E va tutto bene, funziona … evviva! Posso mangiare la frutta!

La chemioterapia procede e gli effetti sul mio fisico si ripresentano molto faticosi da sopportare. Adesso però AL ha una leva potente per sollevarmi nelle giornate dure:
Dai, mogliettina, questo medicinale è cattivo ma dà risultati molto buoni – coraggio!”

 
CONDIVISIONE E AMORE
 
Sento forte il bisogno di condividere l’esperienza del cancro con gli altri ammalati come me. Da quando sto un po’ meglio, mi viene spontaneo parlare con le persone e spesso mi accorgo che scatta l’identificazione, la solidarietà, la sensazione di essere compresi e protetti.
Nei reparti oncologici ho conosciuto molti malati e sto imparando che ciascuno di noi ha il suo personale modo di rapportarsi al cancro.
Alcuni sono in atteggiamento di negazione-rifiuto e in questo caso devo far loro la carità di rispettare la loro scelta.
A volte intuisco che una persona è impaurita alla sua prima seduta, oppure vedo qualcuno che sta male durante la terapia e purtroppo anche persone che sono ormai allo stremo delle forze.
Scatta in me il bisogno, quasi l’urgenza, di avvicinarmi a loro e stabilire un contatto – senza invadenza, solo con un sorriso o una carezza o un saluto. Sempre vedo nei loro occhi la gratitudine e spesso le lacrime e non c’è bisogno di parole perché basta un abbraccio.
Alcune di queste persone ora stanno bene, con altri ci siamo ritrovati in reparto, a volte dopo mesi, con immutato affetto ed empatia. Qualcuno se n’è andato.
Voglio ricordare due persone. 


 
Cara Bruna,
in realtà non so il tuo nome ed ho deciso di chiamarti così per i tuoi bei capelli lunghi e neri. Ero alla prima chemio, spaesata ed impaurita, quando ti ho vista incedere nel corridoio del reparto, fiera come una regina, con l’asta della flebo a mo’ di scettro. Vestivi con gusto anche se modestamente e la malattia ti aveva risparmiato i capelli che avevi acconciato con forcine colorate. 
La settimana successiva eri sotto terapia e parlavi con la psiconcologa in un angolo appartato del reparto. Un’altra volta, sei arrivata con una rosa rossa, l’hai appoggiata sulla sedia accanto al tuo lettino e quando hai finito la terapia te la sei portata via.
Io ti osservavo ed imparavo da te la forza e la dignità che volevo per me stessa.
Dopo mesi, ti ho incrociata, uscendo dall’ascensore. Eri sulla sedia a rotelle, avvolta in una coperta da cui uscivano due babbucce imbottite. E l’ultima volta, sei arrivata portata a peso dai volontari – eri solo più uno scricciolo – su una di quelle seggioline arancione tipiche delle ambulanze. Avevi gli occhi chiusi e il capo reclinato ti scivolava sulla spalla. Ti hanno sistemata su un letto in fondo al reparto, ho ancora visto i tuoi capelli abbandonati sul cuscino, poi hanno tirato il separé.
Cara sorella, so che ora stai bene e sei felice. Vestita di sete e di oro, i capelli cangianti di luce, passeggi nel tuo roseto – quello che è stato preparato per te dall’Amore Risorto – e ti occupi delle tue splendide rose rosse … tra le più belle rose che si siano mai viste in paradiso.

 

 
Caro Aldo,
ci conoscevamo da sempre ma di una conoscenza superficiale e formale.
Poi ti ho visto in reparto, quello che io definisco scherzando “il club del terzo piano”, tu recluta io ormai veterana. Ti ho abbracciato ed immediata è scattata l’amicizia profonda, forse perché non ci sarebbe stato molto tempo.
Tu non avevi alcuna voglia di scherzare, eri arrabbiato, definivi la malattia come “ un mattone cadutoti in testa” e ti ribellavi alla stanchezza che ti costringeva a farti aiutare persino a fare la doccia.
Ci siamo incontrati alcune volte, eri contento di vedermi e mi parlavi volentieri ed anche tua moglie era contenta perché – diceva – con me ti sfogavi.
I tuoi occhi erano sempre gli stessi meravigliosi occhi blu di quand’eri ragazzino ma il tuo fisico deperiva, non sopportavi la chemio perché collassavi e ti facevano trasfusioni per darti un po’ di forza.
Un giorno, in cappella, ho visto tua moglie e tua sorella che lasciavano un mazzo di fiori sull’altare. Non ci ho fatto caso perché l’attività di tua sorella ha attinenza con i fiori ed ho chiesto notizie di te.
Lei mi ha messo un braccio sulla spalla:
“Non so come dirtelo. Aldo  è morto”.
Sono venuta sotto, in camera mortuaria e sono rimasta lì a lungo con te, in pace. Eri così bello! Ed io non ero triste né ho pianto. Ti guardavo con affetto e ti sentivo come un fratello, forse il fratello che non ho mai avuto. Chiudendo gli occhi, avvertivo la tua presenza serena ed i tuoi splendidi occhi blu sorridenti su di noi lì raccolti accanto al tuo corpo.
Caro fratello, sei andato un po’ più avanti e mi hai preceduta. So che ora stai bene e sei felice. E quando sarà la mia ora, spero che ci sarai anche tu tra le persone buone che mi aiuteranno a compiere il passaggio.



 
Ho avuto la grazia di coltivare con alcune persone una profonda condivisione di valori spirituali, in un comune percorso di accettazione della malattia e di impegno per trovare un modo di convivere con il cancro mantenendo la serenità.
Questi amici, anche se hanno livelli diversi di gravità oncologica, sanno di cosa parlo e non si spaventano della mia esperienza, non erigono barriere per difendersi dalla loro personale paura della malattia né usano con me toni superficiali o paternalistici, si sentono liberi di raccontarmi la loro storia senza paura di turbarmi ed insieme possiamo piangere e a volte, dopo aver pianto, anche ridere.
Ci unisce la fede nel Signore Risorto e ci sostiene una rete di solidarietà intrecciata con la preghiera.
Sono molto grata di queste nuove amicizie che definisco “spirituali-oncologiche” ma sono altresì felice di rincontrare i vecchi amici di un tempo.
Un weekend di primavera, l’associazione di auto-mutuo-aiuto che frequentavo prima di ammalarmi, organizza un incontro a Torino e, come location, viene scelta la “casa di spiritualità” dove io ero solita partecipare a “giornate di ritiro e deserto”. Non c’è alcun legame tra l’associazione dei gruppi e la congregazione religiosa che l’accoglie – è un caso. Sì, un caso, ma per me, un dono meraviglioso: nello stesso tempo ho la possibilità di rivedere gli amici dei miei amati gruppi e ritornare in quella casa spirituale che è stata determinante per la mia crescita religiosa.
Arrivo presto per incontrare suor MF, la mia suora-amica. Un lungo abbraccio, lacrime, gioia. Mentre parliamo, lei mi tiene le mani – sembra una mamma – sono stupita dalla sua dimostrazione di affetto. Entrando in chiesa, mi indica il posto che io ero solita occupare e mi viene un gran pianto. Mi abbraccia raccogliendomi tutta e accarezzandomi la testa. Mi dà la comunione e preghiamo insieme in modo spontaneo. Poi resto sola, lì in chiesa, in silenzio e penombra. Provo commozione, gioia, gratitudine e pace profonda.
Lo “spazio-tempo” dell’ascensore che da terra sale al terzo piano mi trasporta in un’altra dimensione: amiche ed amici dei gruppi, stupiti di vedermi e commossi, mi circondano e mi abbracciano, piangendo e ridendo, mi dicono cose belle ed io non capisco più nulla e mi affido a questa corrente calda d’amore.


 AMORE E GIOIA

 
Imparo che il mio dolore può essere utile a me e agli altri e può essere usato da Dio per sostenere le persone che mi sono care.
Imparo che ogni mio dolore può essere un mezzo con cui Dio si fa presente agli altri per mezzo mio.
Quando affido tutto della mia vita a Dio, la mia attenzione viene dolcemente distolta dalle mie vicende per aprirsi sugli altri.
Quando mi lascio andare all’amore, vedo che Dio usa le mie difficoltà per aiutare altre persone.
Quando mi permetto di esser canale dell’amore, posso star certa che la mia sofferenza non è mai invano.
Quando mantengo l’impegno di fare la volontà di Dio, il bene viene a me e agli altri attraverso le esperienze dolorose.
Non sempre posso evitare il dolore ma posso trovare aiuto per affrontare tutto quello che la vita mi presenta e ricevere il dono della serenità in mezzo al dolore stesso.
Così trovo la pacificazione del cuore ed una nuova gioia.
Accetto le cose che non posso cambiare e le affido a Dio – poi agisco per cambiare le cose che possono essere cambiate – e vivo la vita nella gioia sapendo che questa è la volontà di Dio per me oggi.
Il dolore fisico ed emotivo, le malattie e le tragedie, il sacrificio e la croce – non sono incompatibili con la gioia – perché la gioia è calma e quiete, consolazione e riposo, serenità e pace.
Dio è gioia e mi dà gioia.
Se accolgo Dio, accolgo la gioia.
Me lo dice Gesù:
“Vi do la mia pace”
“Perché la vostra gioia sia piena”
"Rallegratevi ché i vostri nomi sono scritti in cielo”
“Oggi sarai con me in paradiso”.