mercoledì 30 ottobre 2013

TERZA CHEMIOTERAPIA

 
 
FESTIVITÀ NATALIZIE

 
È la vigilia di Natale, ho finito il ciclo di chemio e devo solo fare il prelievo con visita di controllo.
L’oncologa mi dice che i valori sono troppo bassi e aggiunge scherzando:
“Adesso la sistemo io per le feste”.
Sto quasi cinque ore sotto flebo, non si tratta di chemioterapia ma di medicinali atti a riequilibrare il mio schema ematico.

Torniamo a casa e mi sembra di stare meglio.
Sì, sto meglio. Che meraviglia! Sto bene.
A Natale, quando arriva PL, ci abbracciamo tutti e tre, ridendo e piangendo.
Ce l’ho fatta ad arrivare a Natale. 


Proprio nel periodo delle festività di fine anno, devo fare la Pet, a Candiolo, come le altre volte. AL ormai conosce la strada, io abbasso il sedile, chiudo gli occhi e prego affidando a Dio l’esame che sto per fare. Intorno, scorrono campagna e  boschi, poi, in mezzo al nulla, appare la grande struttura. Questo centro mi è diventato familiare, mi sento a casa specialmente nel reparto di medicina nucleare ed a volte scherzo con il personale.
Sono grata a Candiolo, a tutti i centri dove si svolge la ricerca,  alle persone che vi lavorano. Che Dio li benedica! Benedica il loro studio e il loro lavoro ed i medicinali che preparano per gli ammalati.

Quando ritiriamo il referto, non apriamo subito la busta ma andiamo in cappella.
È il nostro rito, ci siamo abituati a fare così fin dalle prime volte.
Dopo visite importanti o dopo aver ritirato i referti, in cappella alla presenza del Signore, abbiamo potuto piangere e rincuorarci l’un l’altra, abbiamo trovato quiete e la forza necessaria anche solo per risalire in macchina e tornare alla nostra città.

Anche oggi siamo qui con la nostra busta ancora chiusa. Sul primo banco ci sono dei libri a disposizione. Sono attratta da un foglietto con disegni di candele e decori natalizi.

Quattro candele si consumano lentamente
Diffondendo luce e calore.
Regna intorno un silenzio così profondo
Che si può ascoltare il crepitio della loro conversazione.

La prima dice: “Io sono la PACE
Ma gli uomini non si curano di me
Penso proprio che non resti altro da fare che spegnermi”
Così poco a poco la candela si lascia spegnere.
Anche la seconda dice: “Io sono la FEDE
Ma gli uomini dicono che non servo a nulla
Per questo motivo non ha  senso che io resti  accesa”
Appena termina di parlare diventa fioca e si spegne.
Triste la terza candela a sua volta dice: “Io sono l’AMORE
Ma gli uomini non fanno che odiarsi
Non ho la forza per continuare a rimanere accesa”
E senza attendere oltre la candela si lascia spegnere.

Un ragazzo entra nella stanza e vede le tre candele spente
Impaurito per la semioscurità dice: “Ma che cosa fate?!
Voi dovete rimanere accese. Io ho paura del buio!”

La quarta candela rassicura il ragazzo: “Io sono la SPERANZA
Non temere, non avere paura
Finché io sarò accesa potrai sempre riaccendere le altre candele”
Rincuorato, il ragazzo prende la candela della SPERANZA
E riaccende la pace – la fede – l’amore.


 Nel referto leggiamo:
“ … scomparsa dell’anomala focalità … gli anomali accumuli non risultano più apprezzabili … il quadro odierno Pet depone per un’ottima risposta metabolica al trattamento effettuato.”
Viene descritta:
“ … una piccola focalità e la persistenza di una iperfissazione.”
Dovremo consultare gli oncologi ma non abbiamo dubbi che si tratta di un ottimo risultato e che la situazione è decisamente migliorata.

Stupore sollievo lacrime abbracci felicità!

Grazie a te, Signore Risorto
Tu, qui presente celato nel tabernacolo
Tu, qui presente celato nella nostra gioia
Sorridi su di noi e ci benedici

Torniamo a casa – gli altri automobilisti non se ne avvedono – ma la nostra macchinetta levita a mezzo metro dall’asfalto e sul tettuccio ha due ali di filigrana d’argento con i colori dell’arcobaleno luccicanti al sole.

Il mio cuore canta:

Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi,
mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba.
Hai mutato il mio lamento in danza,
la mia veste di sacco in abito di gioia,
perché io possa cantare senza posa.
Sal 30,4.12-13

L’euforia iniziale, col trascorrere dei giorni, si trasforma in uno stato d’animo più sobrio.
Ripenso alla storia delle quattro candele e mi chiedo in cosa consiste “la speranza” per me, in questo percorso di malattia. Provo a rifletterci.  
 

LA SPERANZA

 
LA SPERANZA
Non significa
Che io non morirò

LA SPERANZA
Significa che il Signore Risorto
Mi darà ancora
Tanti motivi di gioia
Mi darà ancora
Consapevolezza e crescita e grazia
Mi darà
Il suo aiuto e la sua pace
Sempre
 
LA SPERANZA
Significa che il Signore Risorto
È con me sempre
Vivrà con me
Ogni aspetto della mia malattia
Vivrà con me la mia agonia
E infine
Mi accoglierà nel suo amore
Per sempre
  

ANNO NUOVO – CHEMIO VECCHIA


Gli oncologi sono stupiti dall’ottimo risultato ottenuto, comunque entusiasti e, ahimé, concordi sulla necessità di continuare la terapia con lo stesso medicinale.
Mi posizionano il catetere venoso centrale (cvc) per prelievi e infusioni direttamente in vena succlavia senza compromettere nuovamente le braccia che stanno guarendo dalla flebite.

Inizio la terza fase di chemio.

Sono trascorsi circa dieci mesi dall’intervento ed il mio fisico si sta rinforzando.
Mi alimento a sufficienza e riesco a mangiare quasi tutto ad eccezione di frutta e verdura. Mi mancano tanto le insalatone di “prima”, allegre di colori e profumi e sapori – ma sento che il mio apparato digerente non è ancora pronto a “ruminarle”. Con la frutta, però, ci voglio provare: un giorno uno assaggino di mela, poi un acino d’uva, uno spicchio di clementina … wow … che nettare il sapore del primo spicchio di clementina! E va tutto bene, funziona … evviva! Posso mangiare la frutta!

La chemioterapia procede e gli effetti sul mio fisico si ripresentano molto faticosi da sopportare. Adesso però AL ha una leva potente per sollevarmi nelle giornate dure:
Dai, mogliettina, questo medicinale è cattivo ma dà risultati molto buoni – coraggio!”

 
CONDIVISIONE E AMORE
 
Sento forte il bisogno di condividere l’esperienza del cancro con gli altri ammalati come me. Da quando sto un po’ meglio, mi viene spontaneo parlare con le persone e spesso mi accorgo che scatta l’identificazione, la solidarietà, la sensazione di essere compresi e protetti.
Nei reparti oncologici ho conosciuto molti malati e sto imparando che ciascuno di noi ha il suo personale modo di rapportarsi al cancro.
Alcuni sono in atteggiamento di negazione-rifiuto e in questo caso devo far loro la carità di rispettare la loro scelta.
A volte intuisco che una persona è impaurita alla sua prima seduta, oppure vedo qualcuno che sta male durante la terapia e purtroppo anche persone che sono ormai allo stremo delle forze.
Scatta in me il bisogno, quasi l’urgenza, di avvicinarmi a loro e stabilire un contatto – senza invadenza, solo con un sorriso o una carezza o un saluto. Sempre vedo nei loro occhi la gratitudine e spesso le lacrime e non c’è bisogno di parole perché basta un abbraccio.
Alcune di queste persone ora stanno bene, con altri ci siamo ritrovati in reparto, a volte dopo mesi, con immutato affetto ed empatia. Qualcuno se n’è andato.
Voglio ricordare due persone. 


 
Cara Bruna,
in realtà non so il tuo nome ed ho deciso di chiamarti così per i tuoi bei capelli lunghi e neri. Ero alla prima chemio, spaesata ed impaurita, quando ti ho vista incedere nel corridoio del reparto, fiera come una regina, con l’asta della flebo a mo’ di scettro. Vestivi con gusto anche se modestamente e la malattia ti aveva risparmiato i capelli che avevi acconciato con forcine colorate. 
La settimana successiva eri sotto terapia e parlavi con la psiconcologa in un angolo appartato del reparto. Un’altra volta, sei arrivata con una rosa rossa, l’hai appoggiata sulla sedia accanto al tuo lettino e quando hai finito la terapia te la sei portata via.
Io ti osservavo ed imparavo da te la forza e la dignità che volevo per me stessa.
Dopo mesi, ti ho incrociata, uscendo dall’ascensore. Eri sulla sedia a rotelle, avvolta in una coperta da cui uscivano due babbucce imbottite. E l’ultima volta, sei arrivata portata a peso dai volontari – eri solo più uno scricciolo – su una di quelle seggioline arancione tipiche delle ambulanze. Avevi gli occhi chiusi e il capo reclinato ti scivolava sulla spalla. Ti hanno sistemata su un letto in fondo al reparto, ho ancora visto i tuoi capelli abbandonati sul cuscino, poi hanno tirato il separé.
Cara sorella, so che ora stai bene e sei felice. Vestita di sete e di oro, i capelli cangianti di luce, passeggi nel tuo roseto – quello che è stato preparato per te dall’Amore Risorto – e ti occupi delle tue splendide rose rosse … tra le più belle rose che si siano mai viste in paradiso.

 

 
Caro Aldo,
ci conoscevamo da sempre ma di una conoscenza superficiale e formale.
Poi ti ho visto in reparto, quello che io definisco scherzando “il club del terzo piano”, tu recluta io ormai veterana. Ti ho abbracciato ed immediata è scattata l’amicizia profonda, forse perché non ci sarebbe stato molto tempo.
Tu non avevi alcuna voglia di scherzare, eri arrabbiato, definivi la malattia come “ un mattone cadutoti in testa” e ti ribellavi alla stanchezza che ti costringeva a farti aiutare persino a fare la doccia.
Ci siamo incontrati alcune volte, eri contento di vedermi e mi parlavi volentieri ed anche tua moglie era contenta perché – diceva – con me ti sfogavi.
I tuoi occhi erano sempre gli stessi meravigliosi occhi blu di quand’eri ragazzino ma il tuo fisico deperiva, non sopportavi la chemio perché collassavi e ti facevano trasfusioni per darti un po’ di forza.
Un giorno, in cappella, ho visto tua moglie e tua sorella che lasciavano un mazzo di fiori sull’altare. Non ci ho fatto caso perché l’attività di tua sorella ha attinenza con i fiori ed ho chiesto notizie di te.
Lei mi ha messo un braccio sulla spalla:
“Non so come dirtelo. Aldo  è morto”.
Sono venuta sotto, in camera mortuaria e sono rimasta lì a lungo con te, in pace. Eri così bello! Ed io non ero triste né ho pianto. Ti guardavo con affetto e ti sentivo come un fratello, forse il fratello che non ho mai avuto. Chiudendo gli occhi, avvertivo la tua presenza serena ed i tuoi splendidi occhi blu sorridenti su di noi lì raccolti accanto al tuo corpo.
Caro fratello, sei andato un po’ più avanti e mi hai preceduta. So che ora stai bene e sei felice. E quando sarà la mia ora, spero che ci sarai anche tu tra le persone buone che mi aiuteranno a compiere il passaggio.



 
Ho avuto la grazia di coltivare con alcune persone una profonda condivisione di valori spirituali, in un comune percorso di accettazione della malattia e di impegno per trovare un modo di convivere con il cancro mantenendo la serenità.
Questi amici, anche se hanno livelli diversi di gravità oncologica, sanno di cosa parlo e non si spaventano della mia esperienza, non erigono barriere per difendersi dalla loro personale paura della malattia né usano con me toni superficiali o paternalistici, si sentono liberi di raccontarmi la loro storia senza paura di turbarmi ed insieme possiamo piangere e a volte, dopo aver pianto, anche ridere.
Ci unisce la fede nel Signore Risorto e ci sostiene una rete di solidarietà intrecciata con la preghiera.
Sono molto grata di queste nuove amicizie che definisco “spirituali-oncologiche” ma sono altresì felice di rincontrare i vecchi amici di un tempo.
Un weekend di primavera, l’associazione di auto-mutuo-aiuto che frequentavo prima di ammalarmi, organizza un incontro a Torino e, come location, viene scelta la “casa di spiritualità” dove io ero solita partecipare a “giornate di ritiro e deserto”. Non c’è alcun legame tra l’associazione dei gruppi e la congregazione religiosa che l’accoglie – è un caso. Sì, un caso, ma per me, un dono meraviglioso: nello stesso tempo ho la possibilità di rivedere gli amici dei miei amati gruppi e ritornare in quella casa spirituale che è stata determinante per la mia crescita religiosa.
Arrivo presto per incontrare suor MF, la mia suora-amica. Un lungo abbraccio, lacrime, gioia. Mentre parliamo, lei mi tiene le mani – sembra una mamma – sono stupita dalla sua dimostrazione di affetto. Entrando in chiesa, mi indica il posto che io ero solita occupare e mi viene un gran pianto. Mi abbraccia raccogliendomi tutta e accarezzandomi la testa. Mi dà la comunione e preghiamo insieme in modo spontaneo. Poi resto sola, lì in chiesa, in silenzio e penombra. Provo commozione, gioia, gratitudine e pace profonda.
Lo “spazio-tempo” dell’ascensore che da terra sale al terzo piano mi trasporta in un’altra dimensione: amiche ed amici dei gruppi, stupiti di vedermi e commossi, mi circondano e mi abbracciano, piangendo e ridendo, mi dicono cose belle ed io non capisco più nulla e mi affido a questa corrente calda d’amore.


 AMORE E GIOIA

 
Imparo che il mio dolore può essere utile a me e agli altri e può essere usato da Dio per sostenere le persone che mi sono care.
Imparo che ogni mio dolore può essere un mezzo con cui Dio si fa presente agli altri per mezzo mio.
Quando affido tutto della mia vita a Dio, la mia attenzione viene dolcemente distolta dalle mie vicende per aprirsi sugli altri.
Quando mi lascio andare all’amore, vedo che Dio usa le mie difficoltà per aiutare altre persone.
Quando mi permetto di esser canale dell’amore, posso star certa che la mia sofferenza non è mai invano.
Quando mantengo l’impegno di fare la volontà di Dio, il bene viene a me e agli altri attraverso le esperienze dolorose.
Non sempre posso evitare il dolore ma posso trovare aiuto per affrontare tutto quello che la vita mi presenta e ricevere il dono della serenità in mezzo al dolore stesso.
Così trovo la pacificazione del cuore ed una nuova gioia.
Accetto le cose che non posso cambiare e le affido a Dio – poi agisco per cambiare le cose che possono essere cambiate – e vivo la vita nella gioia sapendo che questa è la volontà di Dio per me oggi.
Il dolore fisico ed emotivo, le malattie e le tragedie, il sacrificio e la croce – non sono incompatibili con la gioia – perché la gioia è calma e quiete, consolazione e riposo, serenità e pace.
Dio è gioia e mi dà gioia.
Se accolgo Dio, accolgo la gioia.
Me lo dice Gesù:
“Vi do la mia pace”
“Perché la vostra gioia sia piena”
"Rallegratevi ché i vostri nomi sono scritti in cielo”
“Oggi sarai con me in paradiso”.













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