FESTIVITÀ
NATALIZIE
L’oncologa mi dice che i valori sono troppo bassi e aggiunge scherzando:
“Adesso la sistemo io per le feste”.
Sto quasi cinque ore sotto flebo, non si tratta di chemioterapia ma di medicinali atti a riequilibrare il mio schema ematico.
Torniamo a casa e mi sembra di stare meglio.
Sì, sto meglio. Che meraviglia! Sto bene.A Natale, quando arriva PL, ci abbracciamo tutti e tre, ridendo e piangendo.
Ce l’ho fatta ad arrivare a Natale.
≈
Proprio nel periodo delle festività di fine anno, devo
fare la Pet , a
Candiolo, come le altre volte. AL ormai conosce la strada, io abbasso il
sedile, chiudo gli occhi e prego affidando a Dio l’esame che sto per fare.
Intorno, scorrono campagna e boschi,
poi, in mezzo al nulla, appare la grande struttura. Questo centro mi è
diventato familiare, mi sento a casa specialmente nel reparto di medicina
nucleare ed a volte scherzo con il personale.
Sono grata a Candiolo, a tutti i centri dove si svolge
la ricerca, alle persone che vi
lavorano. Che Dio li benedica! Benedica il loro studio e il loro lavoro ed i medicinali
che preparano per gli ammalati.
Quando ritiriamo il referto, non apriamo subito la
busta ma andiamo in cappella.
È il nostro rito, ci siamo abituati a fare così fin
dalle prime volte.
Dopo visite importanti o dopo aver ritirato i referti,
in cappella alla presenza del Signore, abbiamo potuto piangere e rincuorarci
l’un l’altra, abbiamo trovato quiete e la forza necessaria anche solo per
risalire in macchina e tornare alla nostra città.
Anche oggi siamo qui con la nostra busta ancora
chiusa. Sul primo banco ci sono dei libri a disposizione. Sono attratta da un
foglietto con disegni di candele e decori natalizi.
Quattro candele si
consumano lentamente
Diffondendo luce e
calore.Regna intorno un silenzio così profondo
Che si può ascoltare il crepitio della loro conversazione.
La prima dice: “Io
sono la PACE
Ma gli uomini non si
curano di mePenso proprio che non resti altro da fare che spegnermi”
Così poco a poco la candela si lascia spegnere.
Anche la seconda dice: “Io sono
Ma gli uomini dicono che non servo a nulla
Per questo motivo non ha senso che io resti accesa”
Appena termina di parlare diventa fioca e si spegne.
Triste la terza candela a sua volta dice: “Io sono l’AMORE
Ma gli uomini non fanno che odiarsi
Non ho la forza per continuare a rimanere accesa”
E senza attendere oltre la candela si lascia spegnere.
Un ragazzo entra
nella stanza e vede le tre candele spente
Impaurito per la
semioscurità dice: “Ma che cosa fate?! Voi dovete rimanere accese. Io ho paura del buio!”
La quarta candela
rassicura il ragazzo: “Io sono la
SPERANZA
Non temere, non
avere pauraFinché io sarò accesa potrai sempre riaccendere le altre candele”
Rincuorato, il ragazzo prende la candela della SPERANZA
E riaccende la pace – la fede – l’amore.
≈
Viene descritta:
“ … una piccola focalità e la persistenza di una iperfissazione.”
Dovremo consultare gli oncologi ma non abbiamo dubbi che si tratta di un ottimo risultato e che la situazione è decisamente migliorata.
Stupore sollievo lacrime abbracci felicità!
Grazie a te,
Signore Risorto
Tu, qui
presente celato nel tabernacoloTu, qui presente celato nella nostra gioia
Sorridi su di noi e ci benedici
Torniamo a casa – gli altri automobilisti non se ne
avvedono – ma la nostra macchinetta levita a mezzo metro dall’asfalto e sul
tettuccio ha due ali di filigrana d’argento con i colori dell’arcobaleno
luccicanti al sole.
Il mio cuore canta:
Signore, mi
hai fatto risalire dagli inferi,
mi hai dato
vita perché non scendessi nella tomba.Hai mutato il mio lamento in danza,
la mia veste di sacco in abito di gioia,
perché io possa cantare senza posa.
Sal 30,4.12-13
L’euforia iniziale, col trascorrere dei giorni, si
trasforma in uno stato d’animo più sobrio.
Ripenso alla storia delle quattro candele e mi chiedo
in cosa consiste “la speranza” per me, in questo percorso di malattia. Provo a
rifletterci. Che io non morirò
Mi darà ancora
Tanti motivi di gioia
Mi darà ancora
Consapevolezza e crescita e grazia
Mi darà
Il suo aiuto e la sua pace
Sempre
Significa che il Signore Risorto
È con me sempre
Vivrà con me
Ogni aspetto della mia malattia
Vivrà con me la mia agonia
E infine
Mi accoglierà nel suo amore
Per sempre
ANNO NUOVO –
CHEMIO VECCHIA
Gli oncologi sono stupiti dall’ottimo risultato
ottenuto, comunque entusiasti e, ahimé, concordi sulla necessità di continuare
la terapia con lo stesso medicinale.
Mi posizionano il catetere venoso centrale (cvc) per
prelievi e infusioni direttamente in vena succlavia senza compromettere
nuovamente le braccia che stanno guarendo dalla flebite.
Inizio la terza fase di chemio.
Sono trascorsi circa dieci mesi dall’intervento ed il
mio fisico si sta rinforzando.
Mi alimento a sufficienza e riesco a mangiare quasi
tutto ad eccezione di frutta e verdura. Mi mancano tanto le insalatone di “prima”,
allegre di colori e profumi e sapori – ma sento che il mio apparato digerente
non è ancora pronto a “ruminarle”. Con la frutta, però, ci voglio provare: un
giorno uno assaggino di mela, poi un acino d’uva, uno spicchio di clementina …
wow … che nettare il sapore del primo spicchio di clementina! E va tutto bene,
funziona … evviva! Posso mangiare la frutta!
La chemioterapia procede e gli effetti sul mio fisico
si ripresentano molto faticosi da sopportare. Adesso però AL ha una leva
potente per sollevarmi nelle giornate dure:
Dai, mogliettina, questo medicinale è cattivo ma dà
risultati molto buoni – coraggio!”
CONDIVISIONE
E AMORE
Sento forte il bisogno di condividere l’esperienza del
cancro con gli altri ammalati come me. Da quando sto un po’ meglio, mi viene
spontaneo parlare con le persone e spesso mi accorgo che scatta
l’identificazione, la solidarietà, la sensazione di essere compresi e protetti.Nei reparti oncologici ho conosciuto molti malati e sto imparando che ciascuno di noi ha il suo personale modo di rapportarsi al cancro.
Alcuni sono in atteggiamento di negazione-rifiuto e in questo caso devo far loro la carità di rispettare la loro scelta.
A volte intuisco che una persona è impaurita alla sua prima seduta, oppure vedo qualcuno che sta male durante la terapia e purtroppo anche persone che sono ormai allo stremo delle forze.
Scatta in me il bisogno, quasi l’urgenza, di avvicinarmi a loro e stabilire un contatto – senza invadenza, solo con un sorriso o una carezza o un saluto. Sempre vedo nei loro occhi la gratitudine e spesso le lacrime e non c’è bisogno di parole perché basta un abbraccio.
Alcune di queste persone ora stanno bene, con altri ci siamo ritrovati in reparto, a volte dopo mesi, con immutato affetto ed empatia. Qualcuno se n’è andato.
Voglio ricordare due persone.
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in realtà non so il tuo nome ed ho deciso di chiamarti così per i tuoi bei capelli lunghi e neri. Ero alla prima chemio, spaesata ed impaurita, quando ti ho vista incedere nel corridoio del reparto, fiera come una regina, con l’asta della flebo a mo’ di scettro. Vestivi con gusto anche se modestamente e la malattia ti aveva risparmiato i capelli che avevi acconciato con forcine colorate.
La settimana successiva eri sotto terapia e parlavi
con la psiconcologa in un angolo appartato del reparto. Un’altra volta, sei arrivata
con una rosa rossa, l’hai appoggiata sulla sedia accanto al tuo lettino e
quando hai finito la terapia te la sei portata via.
Io ti osservavo ed imparavo da te la forza e la
dignità che volevo per me stessa.Dopo mesi, ti ho incrociata, uscendo dall’ascensore. Eri sulla sedia a rotelle, avvolta in una coperta da cui uscivano due babbucce imbottite. E l’ultima volta, sei arrivata portata a peso dai volontari – eri solo più uno scricciolo – su una di quelle seggioline arancione tipiche delle ambulanze. Avevi gli occhi chiusi e il capo reclinato ti scivolava sulla spalla. Ti hanno sistemata su un letto in fondo al reparto, ho ancora visto i tuoi capelli abbandonati sul cuscino, poi hanno tirato il separé.
Cara sorella, so che ora stai bene e sei felice. Vestita di sete e di oro, i capelli cangianti di luce, passeggi nel tuo roseto – quello che è stato preparato per te dall’Amore Risorto – e ti occupi delle tue splendide rose rosse … tra le più belle rose che si siano mai viste in paradiso.
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ci conoscevamo da sempre ma di una conoscenza superficiale e formale.
Poi ti ho visto in reparto, quello che io definisco scherzando “il club del terzo piano”, tu recluta io ormai veterana. Ti ho abbracciato ed immediata è scattata l’amicizia profonda, forse perché non ci sarebbe stato molto tempo.
Tu non avevi alcuna voglia di scherzare, eri arrabbiato, definivi la malattia come “ un mattone cadutoti in testa” e ti ribellavi alla stanchezza che ti costringeva a farti aiutare persino a fare la doccia.
Ci siamo incontrati alcune volte, eri contento di vedermi e mi parlavi volentieri ed anche tua moglie era contenta perché – diceva – con me ti sfogavi.
I tuoi occhi erano sempre gli stessi meravigliosi
occhi blu di quand’eri ragazzino ma il tuo fisico deperiva, non sopportavi la
chemio perché collassavi e ti facevano trasfusioni per darti un po’ di forza.
Un giorno, in cappella, ho visto tua moglie e tua
sorella che lasciavano un mazzo di fiori sull’altare. Non ci ho fatto caso perché
l’attività di tua sorella ha attinenza con i fiori ed ho chiesto notizie di te.
Lei mi ha messo un braccio sulla spalla:
“Non so come dirtelo. Aldo è morto”.
Sono venuta sotto, in camera mortuaria e sono rimasta lì a lungo con te, in pace. Eri così bello! Ed io non ero triste né ho pianto. Ti guardavo con affetto e ti sentivo come un fratello, forse il fratello che non ho mai avuto. Chiudendo gli occhi, avvertivo la tua presenza serena ed i tuoi splendidi occhi blu sorridenti su di noi lì raccolti accanto al tuo corpo.
Caro fratello, sei andato un po’ più avanti e mi hai preceduta. So che ora stai bene e sei felice. E quando sarà la mia ora, spero che ci sarai anche tu tra le persone buone che mi aiuteranno a compiere il passaggio.
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Questi amici, anche se hanno livelli diversi di gravità oncologica, sanno di cosa parlo e non si spaventano della mia esperienza, non erigono barriere per difendersi dalla loro personale paura della malattia né usano con me toni superficiali o paternalistici, si sentono liberi di raccontarmi la loro storia senza paura di turbarmi ed insieme possiamo piangere e a volte, dopo aver pianto, anche ridere.
Ci unisce la fede nel Signore Risorto e ci sostiene una rete di solidarietà intrecciata con la preghiera.
Sono molto grata di queste nuove amicizie che
definisco “spirituali-oncologiche” ma sono altresì felice di rincontrare i
vecchi amici di un tempo.
Un weekend di primavera, l’associazione di
auto-mutuo-aiuto che frequentavo prima di ammalarmi, organizza un incontro a
Torino e, come location, viene scelta la “casa di spiritualità” dove io ero
solita partecipare a “giornate di ritiro e deserto”. Non c’è alcun legame tra
l’associazione dei gruppi e la congregazione religiosa che l’accoglie – è un
caso. Sì, un caso, ma per me, un dono meraviglioso: nello stesso tempo ho la
possibilità di rivedere gli amici dei miei amati gruppi e ritornare in quella
casa spirituale che è stata determinante per la mia crescita religiosa. Arrivo presto per incontrare suor MF, la mia suora-amica. Un lungo abbraccio, lacrime, gioia. Mentre parliamo, lei mi tiene le mani – sembra una mamma – sono stupita dalla sua dimostrazione di affetto. Entrando in chiesa, mi indica il posto che io ero solita occupare e mi viene un gran pianto. Mi abbraccia raccogliendomi tutta e accarezzandomi la testa. Mi dà la comunione e preghiamo insieme in modo spontaneo. Poi resto sola, lì in chiesa, in silenzio e penombra. Provo commozione, gioia, gratitudine e pace profonda.
Lo “spazio-tempo” dell’ascensore che da terra sale al terzo piano mi trasporta in un’altra dimensione: amiche ed amici dei gruppi, stupiti di vedermi e commossi, mi circondano e mi abbracciano, piangendo e ridendo, mi dicono cose belle ed io non capisco più nulla e mi affido a questa corrente calda d’amore.
Imparo che il mio dolore può essere utile a me e agli
altri e può essere usato da Dio per sostenere le persone che mi sono care.
Imparo che ogni mio dolore può essere un mezzo con cui
Dio si fa presente agli altri per mezzo mio.Quando affido tutto della mia vita a Dio, la mia attenzione viene dolcemente distolta dalle mie vicende per aprirsi sugli altri.
Quando mi lascio andare all’amore, vedo che Dio usa le mie difficoltà per aiutare altre persone.
Quando mi permetto di esser canale dell’amore, posso star certa che la mia sofferenza non è mai invano.
Quando mantengo l’impegno di fare la volontà di Dio, il bene viene a me e agli altri attraverso le esperienze dolorose.
Non sempre posso evitare il dolore ma posso trovare aiuto per affrontare tutto quello che la vita mi presenta e ricevere il dono della serenità in mezzo al dolore stesso.
Così trovo la pacificazione del cuore ed una nuova gioia.
Accetto le cose che non posso cambiare e le affido a Dio – poi agisco per cambiare le cose che possono essere cambiate – e vivo la vita nella gioia sapendo che questa è la volontà di Dio per me oggi.
Il dolore fisico ed emotivo, le malattie e le tragedie, il sacrificio e la croce – non sono incompatibili con la gioia – perché la gioia è calma e quiete, consolazione e riposo, serenità e pace.
Dio è gioia e mi dà gioia.
Se accolgo Dio, accolgo la gioia.
Me lo dice Gesù:
“Vi do la mia pace”
“Perché la vostra gioia sia piena”
"Rallegratevi ché i vostri nomi sono scritti in cielo”
“Oggi sarai con me in paradiso”.
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