domenica 27 ottobre 2013

DUE GRANDI QUESITI


 

DUE GRANDI QUESITI


I° CHE SENSO POSSO DARE AL DOLORE

 
Io non sono nulla di fronte a generazioni di filosofi e religiosi che hanno cercato spiegazioni al dolore. Ma ho bisogno di dare un significato, un senso alla sofferenza che sto vivendo. Non è un’operazione intellettuale o teologica bensì la ricerca di una risposta che mi sia di aiuto.


C’è una risposta molto semplice in un delizioso libricino della serie “Ti regalo una storia” della Editrice Elledici:
 
 
IL BAMBÙ

 
In un magnifico giardino cresceva un bambù dal nobile aspetto. Il Signore del giardino lo amava più di tutti gli altri alberi. Anno dopo anno, il bambù cresceva e si faceva robusto e bello. Perché il bambù sapeva bene che il Signore lo amava e ne era felice.
Un giorno, il Signore si avvicinò al suo amato albero e gli disse: “Caro bambù, ho bisogno di te”.
Il magnifico albero sentì che era venuto il momento per cui era stato creato e disse, con grande gioia:
“Signore, sono pronto. Fa’ di me l’uso che vuoi”.
La voce del Signore era grave: “Per usarti devo abbatterti!”
Il bambù si spaventò: “Abbattermi, Signore? Io, il più bello degli alberi del tuo giardino? No, per favore, no! Usami per la tua gioia, Signore, ma per favore, non abbattermi”.
“Mio caro bambù”, continuò il Signore, “se non posso abbatterti, non posso usarti”.
Il giardino piombò in un profondo silenzio. Anche il vento smise di soffiare.
Lentamente il bambù chinò la sua magnifica chioma e sussurrò: “Signore, se non puoi usarmi senza abbattermi, abbattimi”.
“Mio caro bambù”, disse ancora il Signore, “non solo devo abbatterti, ma anche tagliarti i rami e le foglie”.
“Mio Signore, abbi pietà. Distruggi la mia bellezza, ma lasciami i rami e le foglie!”.
“Se non posso tagliarli, non posso usarti”.
Il sole nascose il suo volto, una farfalla inorridita volò via.
Tremando, il bambù disse fiocamente:
“Signore, tagliali”.
“Mio caro bambù, devo farti ancora di peggio. Devo spaccarti in due e strapparti il cuore. Se non posso fare questo, non posso usarti”.
Il bambù si chinò fino a terra e mormorò: “Signore, spacca,  strappa”.
Così il Signore del giardino abbatté il bambù, tagliò i rami e le foglie, lo spaccò in due e gli estirpò il cuore.
Poi lo portò dove sgorgava una fonte di acqua fresca, vicino ai suoi campi che soffrivano per la siccità. Delicatamente collegò alla sorgente una estremità dell’amato bambù e diresse l’altra verso i campi inariditi.
La chiara, fresca, dolce acqua prese a scorrere nel corpo del bambù e raggiunse i campi. Fu piantato il riso e il raccolto fu ottimo.
Così il bambù divenne una grande benedizione, anche se era stato abbattuto e distrutto. Quando era un albero stupendo, viveva solo per se stesso e si specchiava nella propria bellezza. Stroncato, ferito e sfigurato era diventato un canale, che il Signore usava per rendere fecondo il suo regno.

Noi la chiamiamo sofferenza. Dio la chiama “ho bisogno di te”.


Alcuni autori hanno pagine intense sul significato cristiano del dolore.
Mi sono utili questi due libri:
  1. "La libertà interiore" di Padre Philippe Jacques
  2. "Alla sorgente delle lacrime" di Jean Vanier  
E intendo trascriverne qualche pagina al termine del mio racconto.
 
 
Al monastero di Pra 'd Mill ai piedi del Monviso, tempo fa, avevo letto la biografia di Aurelia Oreglia d'Isola (amica e benefattrice del monastero).
Questa sua frase, ora, sembra scritta per me: 
 
Solo quando si è già maturati nella sofferenza, solo allora il nostro darsi è tutto nella fede del soprannaturale.
Il dolore non è un problema – è un mistero – ed il mistero è un problema la cui soluzione se l’è riservata Colui che sa tutto e che è tutto.
La chiave risolutrice l’abbiamo già davanti – non all’intelligenza ma all’occhio del cuore – ed è la Croce.
La Croce ci dice che, in Cristo, ogni sofferenza è ben accetta dal Padre. Perché? Come? Non lo sappiamo. È appunto un mistero.


 
SOPRATTUTTO POSSO IMPARARE DA GESÙ A DARE UN SENSO AL DOLORE

 Nella cappella di un ospedale, tra libri e preghiere lasciati a disposizione dei malati, trovo scritto su un foglio anonimo:
“Ci sono tante cose buone che possiamo fare nella vita. La più preziosa è offrire per amore. E quando saremo in paradiso, scopriremo chi ha offerto per noi”.

Poi un amico sacerdote mi fa notare che anche nella liturgia della messa è presente l’offerta di ciascun fedele:

“… ti offriamo le gioie e le sofferenze …” (preghiera dei fedeli)

“… il mio e vostro sacrificio…”  (preghiera sulle offerte)


E in san Paolo Col 1,24 leggo:

“Compio in me ciò che manca alla passione di Gesù in favore del suo corpo che è la Chiesa”.

Manca forse qualcosa alla passione di Gesù?
No, non manca nulla!
Ma Gesù coinvolge anche me chiedendomi di fare la mia parte insieme a lui.
Alla consacrazione il celebrante ripete le parole di Gesù:

“Fate questo in memoria di me”.

Gesù ha assunto e ottemperato un piano divino in cui c’era anche il soffrire.
Era consapevole che sarebbe morto a causa del suo messaggio e delle sue opere.
Nell’Ultima Cena ha anticipato la sua morte offerta per amore, materializzandola nel pane e nel vino per insegnarmi a continuarla nel tempo e per restare sempre con me.
Non credo che sia il sangue a salvarmi, non le sofferenze atroci della croce – bensì l’amore con cui Gesù ha accettato tutto ciò.
Non credo che Dio Padre – che è amore e misericordia infiniti – avesse bisogno od esigesse la morte cruenta di suo figlio, come riscatto o risarcimento o compensazione. Non riesco a concepire questa ipotesi.
Gesù non ha cercato volontariamente la sofferenza ma l’ha accettata quando essa si è presentata, l’ha fatta propria e l’ha offerta per amore di ciascuno di noi.
Gesù ha posto la sua vita a disposizione, liberamente, offrendo per amore, perché io riceva la pace.

Ora, io non posso negare l’atroce presenza della sofferenza e della morte nel tracciato della vita dell’uomo – nel tracciato della mia vita – e Gesù non mi ha spiegato con le parole il senso della sofferenza. Ma con lui ci sono due novità:

  • Dio, in Gesù, è un Dio che soffre come me e che soffre con me
  • Io non so il perché della sofferenza ma so cosa posso farne, con Gesù posso offrirla

E non è Dio che ha bisogno della mia offerta – sono io che ho bisogno di compierla.
Il Signore Gesù non lascia inutilizzato il mio dolore ma lo accetta sorridendo. In questo modo il mio dolore può avere un grande scopo ed io trovo vera consolazione e gioia.

 

 

II° FIDUCIA IN DIO E MORTE

 
Ho sempre detto, come la maggior parte delle persone, che non mi faceva paura il morire bensì la sofferenza derivante dalla malattia. Non è vero.
Io ho paura della morte.
Io morirò.
Il cancro ha illuminato in modo impietoso questa realtà – che ho sempre dato per scontata ed acquisita – ma che non ho mai onestamente esaminato. Ha spalancato quella porta sul baratro che io non ho mai neppur leggermente socchiusa.
Come posso avere fiducia in Dio se il suo disegno su di me – e sulle persone che amo – prevede la morte?

Io non lo so.
Posso però farmi aiutare dalle parole di persone ispirate.



 Questa frase, come detta da Gesù, è stata scritta da PAPA BENEDETTO XVI:
“Sono risorto e ora sono sempre  con te”
dice il Signore a ciascuno di noi.
“La mia mano ti sorregge.
Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani.
Sono presente perfino alla porta della morte
dove nessuno può più accompagnarti
e dove tu non puoi portare niente.
Là ti aspetto io
e trasformo per te le tenebre in luce”.

 
 
 
Fiducia in Dio anche di fronte alla morte?
Anime sante mi dicono di sì, mi suggeriscono di avere fiducia in Dio perché la morte è l'inizio della vita vera.
Trovo pagine meravigliose nei libri di:
  1. Madre Teresa
  2. Anselm Grun
  3. Henry Nouwen  
E intendo trascriverne qualche pagina al termine del mio racconto.
 
 

PREGO

Signore
Io sono il tuo bambù
Usa il mio cancro

Signore
Ti offro il mio cancro
Per amore

Gesù tu sei il Signore Risorto
Ti prego aiutami ad avere fiducia in te
Non ho altro che questa fiducia
La fiducia in te che sei il Signore Risorto

 
 
VEDER LE STELLE A MEZZOGIORNO


Quand’ero bambina, il nonno mi diceva che si possono vedere le stelle a mezzogiorno.
Mi raccontava di aver scavato un pozzo. Per giorni aveva faticato coi suoi compagni: lasciavano fuori luce e calore per lavorare giù nello stretto cunicolo. Infine avevano raggiunto la giusta profondità, dove lo scavo deve allargarsi perché l’acqua possa raccogliersi abbondante. E fu allora che vide le stelle a mezzogiorno. Sopra di lui, il pozzo buio e stretto isolava la percezione della sua vista e gli svelava il cielo – quale esso è, sempre – luccicante di stelle. 
A volte io mi sento così, in un fondo buio e freddo e minaccioso ma, se guardo in alto, posso vedere – ed avere la certezza – che là fuori mi aspettano le stelle scintillanti insieme al sole di mezzogiorno.


 

Dall’ospedale mi chiamano per l’intervento: mi aspettano domattina presto. Ok. Sono pronta. 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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