domenica 27 ottobre 2013

SONO AMMALATA - Spiritualià


continua: SONO AMMALATA
e dopo l'aspetto fisico e quello emotivo-relazionale
ecco:
 
 
SPIRITUALITA’

Nulla, ma proprio nulla, spiritualità compresa, esisterebbe in me se Dio non me la avesse donato per un suo progetto d’amore.
Il Signore mi ha condotta nel corso degli anni ad avere principi spirituali in cui credere ed a cui conformarmi per vivere bene:
 
  • Vivere un giorno alla volta
  • Coltivare la positività
  • Coltivare la gratitudine
  • Tenere la mente e il cuore liberi
  • Riconoscere l’impotenza di fronte a ciò che non si può cambiare
  • Agire con coraggio sulle cose che possono essere cambiate
  • Cercare la volontà di Dio e la forza per compierla
  • Accettare con serenità
  • Restare in contatto con Dio mediante preghiera e meditazione
Finora, ad ogni nuova esperienza, ad ogni sfida che la vita mi ha posto, questi valori spirituali mi hanno indicato la rotta da seguire, insegnandomi sempre qualcosa di me e arricchendomi di nuove intuizioni e consapevolezze.
Ora sto vivendo la prova più dura nel viaggio della vita.
Il rischio è di essere atterrata da questa esperienza.
Ho bisogno di aggrapparmi ai principi spirituali che finora hanno funzionato e di cercarne di nuovi che mi siano di sostegno e conforto nella nuova situazione.

 
VIVERE UN GIORNO ALLA VOLTA

Ho bisogno di lasciar andare quello che avrebbe potuto essere, lasciar andare quello che non posso più fare.
Ho altresì bisogno di liberarmi dalla paura dell’ignoto che  mi sta aspettando.
Io non ho alcun potere sul passato né alcun potere sul futuro: tutto quello che posso fare è vivere semplicemente le sfide della malattia un giorno alla volta.
“Oggi” non mi viene chiesto di affrontare tutte le fasi del percorso oncologico – “oggi” non devo fare altro se non quel pezzettino di strada che è nelle mie ventiquattro ore.
Vivere un giorno alla volta. Mai come nella malattia oncologica sto apprezzando il miracolo di questo semplice principio spirituale così antico e conosciuto. Cercando di applicarlo scopro che gli eventi, che man mano mi si presentano, anche se dolorosi, diventano più leggeri e facili da attraversare.
Provo un grande senso di sollievo e liberazione.
È tutto solo per ventiquattro ore, anzi è tutto solo per questo  unico momento presente – soprattutto per il dolore fisico – devo solo vivere il singolo brevissimo istante presente.
Anche il dolore fisico non sarà stato eterno.


Carlo Miglietta (Perché il dolore?, Gribaudi, Milano, 1997, pag. 256) dice che il credente nella prova deve avere la certezza che la sua sofferenza non sarà senza fine, ma che avrà un termine, ed egli sarà finalmente nella pace e nella gioia.
In questo senso Mons. Tonino Bello, Vescovo di Molfetta e Presidente di Pax Christi, quando già era segnato dal tumore che lo avrebbe portato alla morte, scriveva:

Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce.
Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra.
È una frase oscura ma per me è una delle più luminose di tutta la Bibbia. Proprio per quelle due riduzioni di orario che limitano, come due paletti invalicabili, i tempi in cui è concesso al buio di infierire sulla terra.
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio: ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane.
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Non oltre è consentita la sosta sul Golgota. Dopo tre ore ci sarà la rimozione di tutte le croci.
Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. C’è anche per te una pietà sovrumana. Ecco, già una mano forata schioda dal legno la tua. Ecco, già un volto amico intriso di sangue e coronato di spine sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco, già lo sguardo di Maria ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si quieterà finalmente il dolore che ora ti opprime.
Coraggio, allora! Non angosciarti … non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare.
Coraggio! Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio.
Sulla croce non si rimane per sempre.
Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra esulterà di gioia ed il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.


COLTIVARE LA POSITIVITA

Ho bisogno di arginare lo sconforto coltivando la positività.

Se con fede chiedo a Dio di darmi la consapevolezza della sua volontà su di me, immediatamente divento libera dalla paura paralizzante.
Quella che sento essere la volontà di Dio per me, può diventare una “affermazione” a cui aggrapparmi durante i momenti difficili per ritrovare l’equilibrio e il contatto con Dio.
Sentire positivamente non significa censurare i sentimenti dolorosi né sforzarmi di travisare la realtà – significa semplicemente stabilire una scelta preferenziale per “il bene”.
Alcuni psicologi e medici ritengono che questa opzione per il bene sia curativa: i nostri pensieri e parole ritornano a noi con il loro stesso contenuto e ce lo restituiscono più ricco. Senza che ce ne accorgiamo, si incidono nella memoria e nel cuore ed imprimono le tracce di convinzioni ed abitudini. Le nostre azioni sono la conseguenza di ciò che siamo – ma è pur vero che noi diventiamo sempre più conformi ai nostri pensieri e sentimenti.

Il mio modo di optare per “il bene” è molto semplice: lasciarmi permeare dalla dolce consolazione del salmo “Il buon pastore”, come generazioni di credenti già prima di me.

Salmo 23 (22) Il buon pastore

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi  mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti  a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.


COLTIVARE LA GRATITUDINE
 
Ho bisogno di evitare il vittimismo e l’autocommiserazione ed ho imparato che un buon metodo è quello di coltivare la gratitudine.
La gratitudine può sembrare un principio spirituale ben strano per una malata di cancro. Eppure, anche nei momenti più neri, posso decidere di “cercare le gratitudini per le benedizioni ricevute”.
Ecco la mia lista delle gratitudini di oggi:

- Sono stata creata, proprio io, sono stata tirata fuori dal nulla – poteva anche non succedere – sono stata creata ed ho la consapevolezza di esserci e di vivere. Sono grata per questo.
Sono grata per tutto il bello e il buono che il Signore mi ha dato negli anni – un lungo elenco di doni che mi sono stati elargiti dal Dio della vita senza che io avessi fatto nulla per meritarmeli.
La dermatomiosite mi ha costretta a fare esami quando il cancro al pancreas non si era ancora manifestato.
Anche i medici sono stati una benedizione con esami effettuati con urgenza e diagnosi immediate.
Il chirurgo mi ha giudicata operabile.
Le medicine hanno sedato i sintomi dolorosi facendomi il dono prezioso di una buona qualità di vita.
Sto bene nella mia casa, tra le mie cose.
Gli amici mi stanno sostenendo con la rete delle preghiere e dell’affetto.
Sono felice, sono grata, per mio figlio PL. Quando viene da noi, una volta a settimana, è sempre una gioia da sballo. Gli dico che gli voglio bene, lo abbraccio, me lo strufugno di coccole e lui, un uomo di quasi quaranta anni, mi lascia fare e poi, con un po’ di timidezza e pudore, mi abbraccia e mi dice che anche lui mi vuole bene.
E sono grata, immensamente grata per mio marito AL. Si sta occupando di me, con calma e tranquillità. Il suo modo di agire e di fare le cose per me mi dà sollievo e sicurezza. La scoperta del mio cancro è stata anche per lui una botta emotiva tremenda e sta gestendo i suoi sentimenti nel miglior modo che gli è possibile – senza farli pesare su di me – Sono molto grata.


MANTENERE LA MENTE E IL CUORE LIBERI

Ho bisogno di avere la mente ed il cuore liberi da qualsiasi eventuale residuo di disagio o di risentimento nei confronti delle persone.
Non posso portarmi appresso alcun bagaglio di pesi emotivi.
Se avverto che in una relazione si è creato un conflitto, è mia responsabilità fare ciò che posso per rasserenare il rapporto. E quando ciò non è possibile, posso sempre pregare per quella persona, chiedendo a Dio di far scendere su di lei ogni benedizione.
Da quando sono malata di cancro, voglio una cosa sola: uno stato interiore di pace e serenità, sentirmi in armonia con Dio, con me stessa, con gli altri, con la vita e l’universo.


RICONOSCERE L’IMPOTENZA DI FRONTE A CIÒ CHE NON SI PUÒ  CAMBIARE
Ci sono cose – tante cose – che io non posso cambiare.
Mi basta pensare alla mia nascita.
Posso cambiare dove sono nata, il paese con la sua storia ed economia e religione? Posso cambiare la famiglia e l’ambiente in cui sono nata, con l’imprinting ricevuto nei primi anni dell’infanzia? Posso cambiare la mia costituzione fisica, certi tratti della personalità e del carattere, che fanno di me quella che sono?
Se penso poi allo srotolarsi della mia vita nel tempo, devo onestamente ammettere di non aver avuto controllo né potere su molti eventi.
Ed ora – il cancro – È  arrivato senza che io ne fossi cosciente. Posso forse cancellare questa presenza, posso cambiare questa realtà?
Io sono impotente di fronte al fatto di essermi ammalata di cancro.
Posso arrabbiarmi e ribellarmi oppure posso crogiolarmi nell’autocommiserazione. Avrei ben ragione di scegliere entrambi i comportamenti – ma ciò non cambierebbe la mia cartella clinica né starei meglio emotivamente o spiritualmente.
Inoltre, non mi serve neanche chiedermi il perché.
I medici non hanno riscontrato nella mia storia clinica nessun fattore che possa essere considerato tra quelli possibilmente scatenanti.
E poi – se anche si potesse risalire al perché mi servirebbe oggi?

 
AGIRE CON CORAGGIO SULLE COSE CHE POSSONO ESSERE CAMBIATE

Io sono la sola responsabile del mio atteggiamento interiore, di come scelgo di vivere la malattia oncologica, del senso che riesco a dare a questa esperienza che di per sé sarebbe solo negativa.
 
La domanda non è “Perché ho il cancro?”
La domanda è “E adesso? Cosa posso fare? C’è qualcosa che posso fare io?”
A questo punto viene la mia parte, la mia responsabilità.
Devo essere disposta a fare le cose che non ho voglia, che mi pesano, che mi fanno paura.

Il chirurgo ha detto che sono operabile ed intorno a me tutti danno per scontato che farò l’intervento. Ma un giorno telefono ad un’amica, piangendo:
“È inutile che mi faccia operare sapendo che andrò avanti solo per qualche mese. Che senso ha affrontare un’operazione simile con tutto quello che comporta dopo, con l’unica prospettiva di allungare per qualche tempo la sofferenza? Se almeno qualcuno mi avesse detto che l’intervento potrà essere risolutivo … ma nessuno me lo ha detto. Perché non posso lasciare che la malattia faccia il suo corso?”
Non è importante ciò che mi risponde l’amica: il suo aiuto consiste nell’essere lì, disponibile per me, in ascolto, ad accogliere la mia paura, a farmi compagnia nell’angoscia.

Ora, con il cuore più sereno, so che farò l’intervento. Molti malati al pancreas arrivano ormai tardi alla diagnosi – io ho questa possibilità, Dio mi dà questa possibilità – e devo fare la mia parte, con coraggio, devo fare le cose che posso.

 
CERCARE LA VOLONTÀ DI DIO E LA FORZA PER COMPIERLA
Quindi farò l’intervento.
Sento che questa è la cosa più giusta, più ragionevole.
È la scelta che mi dà più serenità e la serenità è l’unico modo che ho per comprendere la volontà di Dio su di me in questo momento.
La ricerca della pace è la stella polare che mi guida indicandomi la rotta: ciò che è bene non mi porta mai turbamento ma sempre la pace del cuore.

Signore
Concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare
Il coraggio di cambiare le cose che posso
E la saggezza di conoscerne la differenza
(Preghiera di origine incerta – nota come “preghiera della serenità)


ACCETTARE CON SERENITÀ
Mi sembra che tra i malati di cancro siano frequenti alcuni atteggiamenti all’apparenza contrastanti tra di loro mentre in realtà sono le due facce della stessa medaglia: la “non accettazione”.
Il primo atteggiamento è quello della lotta: “Devo lottare, devo sconfiggere l’infame, devo vincere io, devo censurare paure e debolezze e limiti, devo essere tosta”.
Il secondo è quello della rassegnazione: “È inutile, dovrò sempre curarmi, ci saranno ricadute, la chemioterapia è una maledizione, sono depressa”.
Sono atteggiamenti umani e comprensibili e le persone che li adottano vanno rispettate. Anch’io, a volte, ne sono tentata ma sono atteggiamenti che non mi portano alcuna serenità. Se voglio vivere in pace questa esperienza, devo coltivare l’accettazione.

 

Signore
il modo che tu hai scelto per me
è ben diverso da quello che io volevo

Il cancro mi ha sorpresa
ha sconvolto la mia vita
ha annientato i miei sogni
ha impresso ai miei giorni una direzione inattesa

Ora lascio andare
smetto di lottare contro la vita, gli eventi, la morte
smetto di ostinarmi su cose che vanno solo accettate
in mezzo a tanto dolore scelgo l’accettazione come sola risposta

L’accettazione è calma, pace, serenità
ed io ricevo questo dono da te, Signore
dopo aver lasciato emergere
con onestà
emozioni e sentimenti
dopo averli riconosciuti
ed aver dato loro un nome
dopo averli attraversati
con coraggio
ed infine averli affidati a te, Signore
deposti nelle tue mani

Signore
aiutami ad accettare, aiutami a dire di

Quando accetto la tua volontà su di me
ritrovo la serenità e la pace interiore
quando accetto totalmente di essere come tu vuoi
quando accetto totalmente
che gli eventi siano come tu hai disposto o permesso
allora
ritrovo il contatto con il mio centro spirituale
dove è solo VITA e AMORE
dove tu sei

Signore
ti affido la mia malattia, ti affido la mia  vita

Concedimi il sostegno e le risorse che mi saranno necessari
il coraggio e la forza di fare ciò che spetta a me
la disponibilità a vivere la sofferenza fisica
la serenità di accettare i risultati quali che essi siano

Signore, credo che ti occuperai di me
credo che ti farai carico di ciò che non sono in grado di fare io
credo che tu sei con me e non mi lascerai sola 
 

RESTARE IN CONTATTO CON DIO MEDIANTE PREGHIERA E MEDITAZIONE

Da quando sono ammalata il mio modo di pregare e meditare si è semplificato, non ho più l’energia fisica per leggere a lungo né quella mentale per concentrarmi e sento di aver bisogno di poche cose essenziali.
 
Prego spesso con alcuni versetti dei Salmi “della lamentazione”.

Sal 4,2
Quando ti invoco, rispondimi, o Dio; pietà di me, ascolta la mia preghiera.

Sal 5,2-3
Signore, intendi il mio lamento; ascolta la voce del mio grido.

Sal 6,5
Volgiti, Signore, a liberarmi; salvami per la tua misericordia.

Sal 6,8-9
I miei occhi si consumano nel dolore; Signore, ascolta la voce del mio pianto.

Sal 17,6
Io ti invoco, mio Dio, dammi risposta; porgi l’orecchio, ascolta la mia voce.

Sal 22,12
Signore, l’angoscia è vicina e nessuno mi aiuta.

Sal 25,17
Allevia le angosce del mio cuore; liberami dall’affanno.

Sal 31,10-11
Per il pianto si struggono i miei occhi, si consuma nel dolore la mia vita,
inaridisce per la pena il mio vigore, si dissolvono tutte le mie ossa.

Sal 35,17
Fino a quando, Signore, starai a guardare?

Sal 70,6
Io sono povero e infelice, vieni presto, mio Dio.

Sal 88,2-3.14
Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte;
giunga fino a te la mia preghiera; tendi l’orecchio al mio lamento.
A te, Signore, io grido aiuto, al mattino giunge a te la mia preghiera.

Sal 102,12
I miei giorni sono come ombra che declina e io come erba inaridisco.

Sal 141,8
A te, Signore, sono rivolti i miei occhi; in te mi rifugio, proteggi la mia vita.

Sal 143,6
A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra riarsa.

 
 
Ritrovo i miei stati d’animo in alcune preghiere, come quelle che seguono di E. Mazariegos e P. Mazzolari:
 

Guardami, Signore, guardami
Poiché sono senza forze e sono caduto
Come una foglia di autunno lungo il cammino.
Guardami, Signore, la mia anima è sconvolta
E non riesco ad alzare le mie povere ali in volo.
Risanami, Signore, risanami
Perché il mio cuore è infranto
E la mia casa è un mucchio di macerie.
Avvicinati a me, Signore
Come il buon samaritano e benda le mie ferite
Cura con la tua tenerezza e la tua misericordia
Le mie povere piaghe.
Portami con te, non mi abbandonare per strada.
(E. Mazariegos)

 
Signore, non ne posso più
La mia resistenza è agli estremi
La mia fede viene meno
Sotto le prove che incalzano.
Non comprendo più niente.
Non mi abbandonare, Signore
Tu che mi conosci e sai tutto di me
E di questo mio povero cuore di carne.
Tienimi su il cuore
E aiutami a superare l’angoscia
Rinsaldami la certezza
Che niente va perduto
Del nostro patire, perché è tuo
E ti appartiene
Meglio di qualsiasi cosa nostra.
Aiutami a credere che la tua misericordia
Sta universalmente preparando
Una giornata più buona per tutti.
(P. Mazzolari)


 

Sto chiedendo a persone amiche di pregare per me.
Nei momenti più tosti, quando non sono più in grado di pregare, mi ricordo che forse qualcuno dei miei amici lo sta già facendo per me e ritrovo la forza per andare avanti.
Gesù, che al monte degli Ulivi ha chiesto a tre discepoli di vegliare e pregare con lui, mi dà l’esempio.
Anch’io chiedo aiuto e credo che l’intercessione delle persone che mi vogliono bene mi sta già sostenendo. 


Qualche volta AL mi porta in chiesa a ricevere la comunione. Sono momenti di intensa consapevolezza, Gesù è con me concretamente, in questo mio povero corpo malato.
Il Signore mi sta portando in braccio. Mi dona accettazione, pace, serenità. Ed io lo sento sempre con me, in me. 

Qualche giorno prima dell’intervento, chiedo di ricevere l’Unzione degli Infermi.
D’accordo col parroco, andiamo nella cappellina della nostra chiesa in un orario tranquillo.
Come amo questa chiesa! Qui ci siamo sposati ed abbiamo celebrato tutti i momenti importanti della nostra famiglia. E qui, malata, ricevo il Sacramento dell’Unzione.

Dalla lettera di San Giacomo apostolo (5,13-15)
“Carissimi, chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, salmeggi. Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati”.

 Preghiera della Liturgia
“Dio, Padre di ogni consolazione, che per mezzo del tuo Figlio hai voluto recare sollievo alle sofferenze degli infermi, ascolta la preghiera della nostra fede: manda dal cielo il tuo Spirito Santo Paraclito su quest’olio che ci viene dal frutto dell’olivo per nutrimento e sollievo del nostro corpo; effondi la tua santa benedizione, perché quanti riceveranno l’unzione di quest’olio ottengano conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e siano liberi da ogni dolore, da ogni debolezza, da ogni sofferenza. Sia un olio santo da te benedetto per noi, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna con te per tutti i secoli dei secoli. Amen”.

Le persone intorno a me pregano perché io riceva conforto, perché sia sollevata dal male fisico e liberata dal male spirituale, perché non soccomba alla tentazione dello scoraggiamento e della disperazione. Insieme invochiamo lo Spirito Santo perché, con la sua forza inesauribile, ponga rimedio alla mia debolezza.
Vengo unta con l’olio sulla fronte e sui polsi; il celebrante pone a lungo le mani sul mio capo, pregando in silenzio.
Il sacramento produce in me ciò che esso rappresenta: lenimento, sollievo e la certezza di essere amata da Dio con la stessa tenerezza di Gesù verso i malati.


C O N T I N U A

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